Metrica: interrogazione
390 endecasillabi (recitativo) in Lo speziale Venezia, Fenzo, 1754 
che piglia questa china vuol star bene.
È vecchia, secca, dura indiavolata;
e pur si venderà per prilibata.
che non bada né a vasi né a ricette
e altro studio non ha che le gazette;
che so leggere appena un tantinino
dispenso ora da questo, or da quel vaso
le medicine agl’amalati a caso.
raccolte questa mane innanzi al sole.
date qui, date qui, ragazza mia.
Con buona grazia di vusignoria. (Ripone il cestello)
Prima pagate e poi ve le darò.
                                         La mia mamma
«Guardati figlia mia, non ti fidare.
Non ti lasciar dagli uomini gabbare».
                                       Mengoncino,
e ancora non ho fatta collazione.
facciamo un’insalata presto, presto.
Andate via, non mi toccate il cesto.
                                         Eh la mia mamma
mi ha detto: «Figlia mia guardati bene.
Se l’uomo vuol toccar, non esser sciocca,
l’uomo è focoso e bruccia dove tocca».
                                         Non importa,
le tornerò a portare a casa mia
ma non voglio arrischiar la mercanzia.
e la sua mercanzia mi comprerei.
un’invenzion nell’isole Molucche
di far col fil di ferro le perruche.
gravido si è scoperto e ha partorito. (Leggendo)
                                     Dunque l’uomo
oh se potessi partorire anch’io...
di pigliar centomilla genuine...
il mio caso medemo originale.
ed ei per carità se l’ha sposata.
                                      Ma che sposata
Non l’ho sposata ma la sposerò.
han fatto vela e sono andate via. (Leggendo)
si sentirà questa gentil novella,
che vostra figlia l’avrà fatta bella.
Il soffà non vuol dire un seggiolone?
sarà, in virtù di qualche testa buona,
congiunto in matrimonio a una poltrona.
                                               Padron mio. (Leggendo piano)
                            Eccomi.
                                             Ma signore
La peste ha fatto strage in la Turchia.
tra me e il padrone non vi è differenza.
che cerco e che sospiro è solo Albina).
Certo medicamento o sia pozione...
Eccola (già son qui sol per Grilletta).
siete voi dilettanti di novelle?
unito ad una donna fu trovato
e ’l pover galantuom l’hanno impiccato.
Preparatemi presto la pozione.
(Diavolo! Non intendo la ricetta).
                                           (Quel dottore
non so se dica qui spirito o sale).
del signor speziale come sta. (A Mengone)
non so se siano oncie o se sian dramme).
Non l’intendo né mai l’intenderò.
Ma la pratica adesso adoprerò).
                              E due dirne a Grilletta?
signori miei, voi l’intendete male;
io non faccio il mezzan, fo lo speziale.
Fateci la ricetta e perdonate.
Per uno che patisce indigestione.
Per uno che non può... se m’intendete.
ora presto vi servo tutti due.
                                       Manco male
                                        Ed io soltanto
ho finto di portare una ricetta,
Codesto scimunito di Sempronio
                                             E una pupilla
E noi procurarem d’innamorarle
                                          Ecco il mio bene.
                                     Non vorrei...
Io mi ritiro a far la guardia adesso,
poi farete per me voi pur lo stesso. (Parte)
                                              (Non m’inganno,
questi al certo è Lucindo).
                                                 Oh bella Albina
                                         Poca fortuna
solamente potete e poi lasciarmi.
                                     Ed a me serve
di tormento maggior. Vedervi appena,
né potervi spiegare il mio tormento,
è un dolore, ben mio, che val per cento.
                                         A me non tocca.
È ver, s’aspetta a me; ma voi mia cara
Lo seguirò s’egli di me fia degno.
                                       A lui per anche
                                               E ben, si tenti
aver per questa via la vostra mano
                                   Ci penserò.
sagrifichi per lui la vita, il cuore.
rendendo il vostro cor lieto e beato.
                           Che fia?
                                             Chi m’assicura
che felice esser deggia a voi unita?
tutto vostro sarò. Voi disporrete
di me, de’ pensier miei...
                                                Dolce linguaggio
degl’amanti è codesto. Ah poi si cangia
                                Deh non temete,
se tenero amator vi son adesso,
sarà, bell’idol mio, sempre lo stesso.
Poco non è che il genitor non m’abbia
e sorpresa e sgridata; oh son pur stanca
                                      Che fate Albina
                                      Chieder volevo,
che potria risanarvi è un bel marito.
questo è il miglior cordial pel nostro sesso;
e patisco ancor io quel male istesso.
che farà cautamente i fatti suoi
perché non vuol il padre vostro udirvi,
ma fidatevi a me, saprò servirvi.
                                       Ardo ancor io
mi vorrebbe sposar ma non fa niente.
                                         No dubitate,
simulate con arte il vostro foco,
procuriam tutte due vincere il gioco.
voi con Lucindo ed io col mio Mengone,
noi vinceremo il dolce matrimonio
e quel che perderà sarà Sempronio.
voi mi rinvigorite; in grazia vostra
crescer la gioia e cedere il tormento.
quel che vorrei per me venisse fatto...
non vuol ch’io parli con nessuno al mondo.
Oh io son obbediente al mio tuttore.
                                              Oh v’ingannate.
                            Se lo sapete
dunque dai fatti miei cosa volete?
uno sciocco lasciar che non ha merto.
serva, signor eroe del Campidoglio.
Voi meritate assai ma non vi voglio.
Sprezzarmi? Dilegiarmi? Cospettone!
                                               Poverino!
                                             Io mai son stato
                                       Un’altra volta
                              Femmina ingrata!
Io vo la vostra sorte procurando.
                Parlate pure.
                                          Ed io vi mando.
Maledetta fortuna? Ancor mi burla?
ah se trovo Mingone io me l’ammazzo.
e poi non ho trovato più nessuno,
prendean tai medicine ho ben paura
che andassero a guarire in sepoltura.
                         Grilletta.
                                            Mi vuoi bene?
                                            Per or non viene,
                                            Te ne vorrei...
Ma so che amata sei dal mio padrone.
E temo le carezze del bastone.
si può soffrire qualche bastonata.
                                   Via, finalmente
                                              Uh che vergogna.
Andrebbe ben ma ho un poco di paura.
son tua sposa. (Si dan la mano con timore)
                             Tuo sono... Eccolo qui. (Vedendo Sempronio)
                       Dicevo...
                                         Poverino!
Si sente male. Io gli tastavo il polso.
                                     Non hai niente.
Poverino! Ha il suo mal tutto di drento.
mondate la ciccoria e l’accetosa.
tra i signori che adesso sono in guerra
la division del mare e della terra. (Sempronio siede e scrive e Mengone si pone a stacciare e Grilletta a mondar l’erbe)
Me la fanno sugli occhi. Io mi lusingo
di sposar la pupilla e di pigliarmi
e lei fa la graziosa con Mingone.
                                 La riverisco.
                         Padron mio.
                                                  Baccio la mano.
Vorrei parlare con vusignoria.
Ho bisogno di lei, signor padrone.
                                            Io deggio dirle
Amico caro principiate voi. (A Volpino)
Ditelo voi, non posso andar avanti. (A Lucindo)
Noi siam due poverini innamorati.
E venite da me? Cosa ho da farvi.
                                  E la pupilla in dono.
dico di no, la mia ragione è questa. (Vuol partire)
                 Non ho tempo.
                                              Un bell’avviso
                                      E che racconta?
Racontatella presto; oh sarà bella.
col propio amante se n’è andata via.
                      Sì signore.
                                            Non mi piace,
Sentite questa che sarà più bella.
ma con tutta la bella novelletta,
quel galantuom non averà Grilletta.
Una cosa dirò purtroppo vera.
io vi chiedo, signor, vostra figliuola.
dico che lei si può nettar i denti.
Così austero perché? Voi mi vedreste
cadere a’ vostri piè morto e svenato.
Mi fan ridere affé certi sguaiati,
fanno li spasimati per le dame
tra l’amor combattendo e tra la fame.
a dispetto d’ognun sarà mia sposa.
Eccolo; andiamo via. (Piano a Grilletta)
                                         Di che temete?
                  Cosa importa?
                                               Oh riverite!
                     Serva sua.
                                          Brave, compite.
                               A riveder Volpino? (A Grilletta)
poverino! Per voi si disperava.
Se vi vedo parlar con quella gente,
mi venga l’anticor, se non vi batto.
io lo stesso farò col mio Mengone.
l’obbligo non avete come ho io
d’essere rispettosa al padre mio.
in maniera parlate ch’io v’intenda.
Ognun dal canto suo cura si prenda.
Mi avete pur promesso d’aiutarmi.
farem le cose nostre in compagnia.
se mi lasciate voi Grilleta io moro.
va facendo l’amor per eccellenza.
                                                Ehi! Che ne dite?
                                       Io lo dicevo
mi aspetto dal padron qualche bravata.
Ma concluder conviene, o dichiararsi
Convien che mi diciate o sì o no.
siete troppo di spirito meschino,
sarà meglio ch’io sposi il mio Volpino.
Brava! Il vostro Volpino! Ho inteso tutto,
sì, sposatelo pur, buon pro vi faccia
cagna, trista, assassina, crudelaccia.
                       Ma se io son babbuino
sarà meglio per voi sposar Volpino.
che io sono un sciocco e no son degno
una donna sposar di tanto ingegno.
non merita toccar sì bella mano.
                     Dunque migliori il suo destino;
                                           (Ecco Mengone,
or che l’erbe ho vendute e il cestellino,
divertirmi con lui vuo’ un pocolino). (Da sé)
(Ecco a tempo Cecchina; in fede mia,
a Grilletta vogl’io dar gelosia). (Da sé)
Eccomi qui tornata dalla piazza. (A Mengone)
                                      (Oh maledetto!) (Da sé)
di darmi qui da voi la colazione.
                                Son uomo di parola
e vi darò volendolo aggradire
da colazion, da cena e da dormire.
a tutte queste cose accommodarmi
                                 Cosa far?
                                                     Sposarmi.
Mi tradirai così? (Piano a Mengone)
                                  Va’ da Volpino. (Piano a Grilletta)
ma io per ora non ne ho volontà.
altra da voi non voglio colazione.
Eh! Agli uomini non vuo’ servir di giuoco.
                                         (Disgraziato!) (Da sé)
e m’ha fita la cosa nel pensiero,
che non voglia scherzar ma far davvero.
che gl’uomini tallor sono insolenti,
a chi vi vuol toccar, mostrate i denti.
io soglio far così coi giovinotti,
mi diffendo coi pugni e i pizzicotti.
Mi son ben vendicato. (Da sé)
                                           Mi consolo,
che un’amante sua pari ha ritrovato.
                                        Sì sì colei
una sposa sarà buona per lei.
(Basta, non le voi dar più gelosia). (Da sé)
                                       Vanne bugiardo,
scelerato, bricon, tristo, bastardo.
che ti sei con Cecchina divertito.
a quello che ho sentito e che ho veduto.
va’ che di te mi spoglio e d’ogni affetto
e mi strappo il tuo cor fuori del petto.
Bisogna procurare d’aggiustarla,
procurar di placarla e come mai?
Ma se in nulla mancai... Oh donne donne
a forza di lusinghe e di strapazzi
fatte che i poveruom diventin pazzi.
voglio al primo sposarmi che mi chiede.
                                             Eccomi qui.
                                     Io ci ho pensato.
                                              Di collocarmi.
                                               Maritarmi.
                                      Ov’è lo sposo?
non vorrete una frasca, un babbuino.
                                      Se voi pensate
alla vostra fortuna, al vostro bene,
                                                E ben signore
                                       Cara son io.
(Sì, lo voglio sposar per quell’indegno).
una figlia prudente. Ah non avete
(Io di rabbia morir farò Mengone).
                                     A cosa fare?
che fra di noi si faccia la scrittura.
                                             Sperai senz’altro
che avreste il mio pensiere secondato
e vedo che non m’ho niente ingannato.
                                       (Non mi credevo
(Basta, ci penserò prima di farla).
ingannare costui, l’avrei pur caro. (Da sé in distanza)
                                          Son il notaro.
di matrimonio certa scritturetta.
(Colui mi disse il vero). Eccomi pronto.
presto portate carta e calamaro. (Servo porta l’occorrenze)
Scriva, signor notaro, io detterò.
(Il negozio va mal. Sono imbrogliato).
Ma se sono venuti a scomodarmi,
                                      Cosa dice? (A Volpino)
scriverò come vuol primo o secondo.
Avranno entrambi le mercedi sue,
                                     Ma non vorrei...
Se si contenta lui, taccia ancor lei.
(Qualche scena graziosa ora mi aspetto).
D’accordo tutti due scrivino, io deto.
l’ha trovata Volpino e se riesce
e voi sarete mia sposa diletta.
che un tal nome di sposa a me convenga,
più lieto cor non vi sarà del mio.
che voi solo sospiro e che voi solo
fate la gioia mia, fate il mio duolo?
piacemi repplicar dai labri vostri.
amor gioia e contenti a noi prepara.
fui di goder; parmi che tutto aspiri
che sarò consolata il cor mi dice.
                                          Oh disgraziati
                                         Servo signore.
(Eccomi adesso un altro seccatore).
                                              Favorisca.
D’esser un galantuomo io mi protesto,
quel ch’io dico sostengo ed ecco il testo.
di cordiali e siroppi un capitale
e vuol al suo servizio uno speziale».
Leggete pure e sentirete il fine.
con introdurre dei medicamenti».
Per la peste ho un cordial che fa portenti.
                                          Seguitiamo.
carichi di casnà» vuol dir quattrini
un buon speziale ed una spezieria».
                                               Sono a vista
di queste spiaggie. Hanno mandato in terra
con un caichio questo foglio loro
e in questa terra chiedono licenza
di principiar la loro diligenza.
Vengano, son padroni; questa volta
a fare lo spezial vado in Turchia.
                                         Sì vi prego,
vi prometto una buona senseria.
e pur rassembra astuto ma toccando
della sua debolezza il tasto frale
fa vedere che in testa ha poco sale.
sarà doppio il diletto, aver io spero
con il mezzo gentil d’un lieto gioco.
                                 E cosa vi ho fatt’io?
Per voi si è disgustato l’amor mio.
m’è nato con Grilletta un brutto intrico.
Di voi, di lei non me n’importa un fico.
a dir a lei che a lei fedel io sono.
Voglio che le chiedete anche perdono.
Questa cosa tra femmine non s’usa,
prima vorrei morir che chieder scusa.
(Povero Mengoncin, pentita sono). (Da sé)
(Aggiustarla vorrei ma con decoro).
(Tornar in pace pagherei un tesoro).
(Volevo regalarle questo nastro;
                                         (Che cosa ha in mano?
                                  Già sono un pazzo,
                                      Povero nastro,
almeno valerà quattro testoni.
Vale per dir il ver due ducatoni.
                                 Non so che farne.
se nol posso donar vuo’ calpestarlo.
                                  Un po’ di polve
                                       Veder non posso
                                           Ed io non posso...
Poverino! (S’abbassa per prenderlo)
                     Si fermi. (S’abbassa anche lui)
                                        Lasci. (Tutti due vogliono levar di terra, con lazzi, toccano la mano, poi resta a Grilletta)
                                                     Eh via.
Prenda. (Lo vuol dare a Mengone)
                  Questa non è più robba mia.
                                 Non lo permetto.
                                  Lo può portar in petto.
potiam partir. Porterò meco unguenti,
con oglio perfettissimo di zucca.
che aver figlia e pupilla a noi sposara.
Sposalo figlia e diverrai signora.
                                   Ti stara mia.
Noi scriverem le nuove di Turchia.
                                        Stara in casa.
                                                Sposara.
mi farò ricco colla spezzieria). (Da sé)
che gente spiritosa e d’allegria!
Che paese gentile è la Turchia!
poiché vi contentiate ch’io mi sposi,
                                              Sia in buonora;
prendine quattro, se tu vuoi ancora.
                             E la tua figlia ancora.
Sì volentieri tutti due sposara,
tu questa, questa tu, padre e tuttore
in presenza di tanti testimoni
vi congiungo nei vostri matrimoni.
                                        Sì, obbligato.
(Questa volta Sempronio ci è cascato).
Grilletta no trovara... Oh stara qua.
Stara qua, stara qua, star maritata.
                   Con quel bel turco si è sposata.
Pien di rabbia e di sdegno, io resto un cavolo
e tai baffi e vestiti mando al diavolo. (Levando li baffi si scopre)

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