Metrica: interrogazione
469 endecasillabi (recitativo) in Le nozze Bologna, Sassi, 1755 
Ho sentito gridare e son venuto
della parte più debole in aiuto.
                                   Udite me.
Quest’è la mia ragion...
                                            Ragion non c’è.
No, per la parte sua non c’è ragione.
Dorina cameriera e a lui vo’ darla.
l’adorabile mio signor consorte, (Con ironia)
per mirarla vicina a suo piacere.
Se la cosa è così... (Al conte)
                                   No, non è vero.
perché meglio con lui starà Dorina;
prenderebbe in marito un bel birbone.
Se la cosa è così... (Alla contessa)
                                   Non è per questo;
della donzella mia ricco e felice.
Se la cosa è così... (Al conte)
                                   Mente chi il dice.
                                     (La guerra è accesa).
Una mentita a me? Non son chi sono,
                                       (All’armi, all’armi).
O che Dorina sposerà Mingone
dividerò, signor consorte, il letto.
                                O che si sposi a Titta
o dividasi il letto e il matrimonio.
(Questa volta davver v’entrò il demonio).
Son marito alla fine e son padrone;
in casa mia sì forsennato orgoglio.
peggio di quel che parla?
                                               Non mi pare
                                      Nella questione
chi vi par di noi due ch’abbia ragione?
Dite il vostro parer, ve lo permetto.
il marito è marito e che conviene...
Cedere a lui, volete dire, è vero?
                                     Vi manca poco
ch’io non sfoghi con voi dell’ira il foco.
Darmi torto così sugli occhi miei?
Ma no, signora, io do ragione a lei.
                                    Certo, signora sì.
(Per quel ch’io vedo, è meglio dir così).
Ma il marito, dicevi, è alfin marito
e convien... Che conviene?
                                                  Io dir volea,
il marito dee far quel ch’ella brama.
che conchiudasi presto un simil nodo.
                                         Io lo farò.
le parentele mie non sono ignote.
portata ho in questa casa signorile
ed è questa giustizia e non orgoglio.
tutti le porteran maggior rispetto.
                                     Per una serva
il marito di me fa poca stima?
Ah dove, dove andò l’amor di prima?
che Dorina davver piace anche a me.
La padrona vuol darla al giardiniere,
il padrone vuol darla al servitore,
vuo’ procurar, s’è ver quel che dir s’ode,
che fra due litiganti il terzo gode.
Come si potrà far? Ci penserò.
Potrei dir per esempio... Oh questo no.
E se poi... E se lei... Eh signorsì.
non mi state per ora a tormentare.
Già m’ho da maritar con un di voi
ma chi mi toccherà non so dir poi.
                                 Sciocco, scioccone.
della consorte colla cameriera?
Sarà mia quella gioia innanzi sera.
Già la padrona, non so dir perché,
casa pronta non ho per ricovrarmi,
necessario è ch’io pensi a maritarmi.
S’è accesa la gran lite fra i padroni
onde deciderà presto la sorte
a chi debba Dorina esser consorte.
Dite la verità, Dorina cara,
                                     Non so.
                                                     Parlate,
                                        Eh signorsì.
                                       Così e così.
ho delle bestie ancora al mio comando;
e poi per lavorar, quando bisogna,
                                        Me ne consolo.
                                          Me ne rallegro.
                                      Si vedrà.
                                   Per sua bontà.
miserabile voi, se vi sposasse.
È un barone colui di prima classe). (Piano a Dorina)
(Se fosse mai la sposa di Mingone,
v’avviso, egli è una schiuma di briccone). (Piano a Dorina)
Ella dee dirlo chiaramente e forte
di chi vuol, di chi brama esser consorte.
Lo dica pur, già so ch’io son l’elletto.
Preferire da lei sentirmi aspetto.
ah sceglierei se vi vedessi il core.
Puoi dir quello che vuoi, per te è finita.
Sciocco, tu ti potrai lecar le dita.
Questa volta non basta il protettore.
ch’ei tanta carità per te non usa;
d’un dipendente suo sposa Dorina.
addio, signor padron bello e garbato.
la padrona l’ha detto e lo farà
e anche il marito suo rivolterà.
sopra Dorina che dicesti tu,
da te forse potria sperar di più.
Mi vuol bene Dorina e sarà mia.
ed io allora potrò riderti in faccia.
ma costui, per dir ver, mi fa paura.
Non vorrei, non vorrei... Livietta è qui.
Dorina m’intimasse la licenza,
questa buona saria per non star senza.
                                 Animo, andate.
                                       Sono in collera
e senz’altro da lei voglio andar via.
ma non la soffrirò, no certamente,
vuol dar sposo a Dorina ed a me niente.
Ne potrete pigliare uno per una.
Io non voglio gli avvanzi di nessuna.
non vuo’ che fra i padroni si contrasti;
e mi pare d’aver merto che basti.
cosa potrei sperar dal vostro amore?
Che vi mandassi al diavolo di core.
ch’io non voglio servir di comodino.
Che volete da me? Siete impegnato.
                                            Non lo so.
Siate libero e poi risponderò.
dal padron, da Dorina... E so ben io...
Basta, basta, chi sa? Livietta, addio.
Alle belle parole io già non credo.
per potere, se occor, cambiar fortuna.
che colui che mi giura amore e fé
sia, come si suol dir, tutto per me.
da questa soggezione in cui mi trovo,
e di me fare un sagrifizio nuovo.
Due sono i pretendenti che mi vogliono
pare che m’offeriscono un tesoro
ma contenta non son d’alcun di loro.
                        Addio, Dorina bella.
Voi sbagliate, signor, non sarò quella.
Son Dorina, egli è ver, ma bella no.
v’accresce adesso una beltà di più.
voi mi fareste far qualche pazzia.
Signor, io non capisco...
                                             Dite un poco,
                                       Signorsì.
o al servitor vi voglion dare?
                                                     È vero.
Se un partito miglior vi proporrò,
                                 E perché no?
                                       Oh mio signore!
Schietto convien parlar, Dorina mia.
Io non ho dote per vossignoria.
Son degli anni ch’io servo da fattore
ed un fattor che ha un po’ di cognizione
presto divien più ricco del padrone.
dite se mi volete per marito.
                               Franco parlar bisogna.
Siamo fra voi e me, nessun ci sente.
Di farla contentar l’impegno è mio.
Non lo dite a nessun, s’io non lo dico;
e fra i due pretendenti al vostro core
quel che trionferà sarà il fattore.
far le cose fra noi senza dir niente.
mi vedono con voi, cosa diranno?
per loro; e la padrona ed il padrone
impegnato mi crede ogniun per sé;
ma io voglio operar solo per me.
che un boccon prilibato come il vostro
d’uno sciocco, d’un vil, d’un servitore,
un boccon veramente da fattore.
                                      Tanto e poi tanto.
                                  Siete un incanto.
Dica, signor fattor, con sua licenza;
le vorrei dire una parola.
                                               Due
              Fa’ grazia.
                                   Non vorrei.
                                                          Che serve?
Se la sturbo, la prego perdonare.
Voi mi fate penare. (Son curioso
                                  E che per questo?
Ed io fanciulla ed a servire io resto.
Da marito ancor io sono in età.
Dorina non ha niente più di me;
se si marita lei, io no? Perché?
come Dorina, l’averei trovato.
s’è dichiarato amante di colei.
In disparte ho sentito ed ho veduto;
ma sono una ragazza che ha prudenza,
non lo dirò a nessun ma con un patto,
che mi faciate aver, perché stia zitta,
                                       Ma non basta;
vuo’ che mi fate poi la sigurtà
che sarà tutto mio con fedeltà.
La cosa è un po’ dificile; peraltro,
Credo sarà fedel ma in ogni caso,
se fosse di cambiar volonteroso,
non sarà poi con voi sì rigoroso.
m’impegno di tacer quello che so
e se bisogna ancor v’aiuterò.
                                       Dice il proverbio:
«Una man lava l’altra e tutte due
Onde ancora fra noi farem così.
regolarsi conviene con prudenza;
che Livietta sapesse i fatti miei.
Nascosto si sarà fra queste porte;
oh queste donne sono pure accorte.
Mingone non l’avrà, state sicuro.
                                         Il suo rivale
lascio tirar la conseguenza poi.
                                        Questa volta
ma forse Titta l’averia sposata,
                                     Vostra bontà.
(Per questa parte non stia più dubbiosa,
che Titta certo non l’avrà in isposa). (Piano alla contessa)
(Dunque l’avrà Mingone). (A Masotto)
                                                  (Non saprei,
lascio tirar la conseguenza a lei). (Alla contessa)
(Come andò la facenda?) (A Masotto)
                                                (In due parole
ed è per Titta disperato il caso). (Alla contessa)
uomini come me ve ne son pochi). (Alla contessa)
(Ma la testa davver convien che giochi).
(Ho piacer ch’ella sia mortificata).
(Ora non parla più). (Al conte)
                                        (Come l’intende?) (A Masotto)
(Gli si vede negli occhi il foco e l’ira). (A Masotto)
               La mi comandi.
                                              Come dissi,
che portò la contessa in questa casa,
Quando comanderà, saranno pronti.
per cui nel caso di restituzione,
s’han da considerare i frutti ancora.
Poi penseremo a sciorre il matrimonio.
Liberata sarò da un tal demonio.
                                           M’odia alla morte.
                                    Bella consorte!
che lontani non son dal far la pace.
Compatibile io son, se son gelosa.
Via, s’accostino un poco.
                                              Oh questo no;
Non voglio essere il primo né men io.
con licenza, signor, anderò via.
                                 Non sono il primo
                                   Queste liti
                                        Dal mio canto,
E per me sono pronta a far lo stesso.
Dunque pace, consorte, e non più guerra.
                                  E son contenta anch’io.
Dite al cuoco che aspetti.
                                               È ancora presto.
                                       Quel che a voi piace.
(Oh che prodigio! Son tornati in pace).
non istate a turbar la nostra quiete. (A Dorina)
che si grida fra noi; ma in avvenire
non si griderà più, certo, sicuro.
Io le risse, signore, io non procuro.
senza adurre altra scusa, altra ragione,
la man di sposa a porgere a Mingone.
che sposi il giardiniero non conviene.
                                          Il vostro Titta
Neanche il vostro Mingone in verità.
sì, la ragione mia dee prevalere.
Con questa bestia chi si può tenere?
                                           (O che bei pazzi).
dove il piacer, dove l’amore è ito?
Dove il mandò l’indocile marito.
Se si grida, signor, per cagion mia,
datemi la licenza, anderò via.
andatevene pur, però sposata.
obbligare a sposarmi? Se volessi
voi avete promesso d’accordarla;
è disposta la cosa e convien farla.
                                      Impertinente!
Ora son nell’impegno e vuo’ spuntarla.
Titta, ehi Titta. (Chiama)
                               Signor.
                                               Sei tu disposto
                                      Sì, signore.
Pronte ha sempre il mio cor le voglie sue
ma questa cosa s’ha da fare in due.
                                       Con sua licenza. (Vuol partire)
Di qui non partirai, se non lo sposi.
vorrei dopo tre dì farti pentito. (A Titta)
Non vorrei che m’avesse a spennacchiare.
La festa non si fa senza di me.
che per or non ne voglio saper niente.
Come c’entrate voi? (Alla contessa)
                                       Voi, chi v’insegna
a violentar le figlie in tal maniera?
Quel briccon di Mingone invan la spera.
                                         Anch’io sto zitto.
Così foste uno lesso e l’altro fritto.
L’ho detto, lo ridico e lo dirò
con alcun di costor non vuo’ legarmi;
e se di maritarmi avrò desio,
voglio farlo, signori, a modo mio.
Voi l’avreste per poco assassinata.
questa facenda non finirà bene. (Parte)
                                          Sta’ pur sodo
e di sposarla troverassi il modo.
io ti voglio scannar). (Piano a Titta)
                                        Mi vuo’ scannare
Temerario! Tant’osi, me presente?
                                        Non dico niente.
Le darò cento doppie. (A Titta)
                                          Buono, buono.
                                  Contento io sono.
Mi vuo’ ammazzar, mi dice. (Al conte)
                                                     Temerario,
Non temete, signor, non parlo più.
(Giuro a Bacco, saranno schioppettate).
Schioppettate? (Verso Mingone)
                               Che dici? (A Mingone)
                                                   Io non parlai.
Maledetto costui, non tace mai.
e fremi ed obbedisci a tuo dispetto.
e tu, se di fiattar solo ardirai,
tutto lo sdegno mio tu proverai.
che proverà il leon, benché un agnello?
E per chi? Per colui ch’è mio rivale?
dunque levar di vita quel birbone
e finita sarebbe la tenzone.
se fosse in mezzo alle più forti squadre,
se fosse ancora in braccio di sua madre.
Dorina mia, s’imbrogliano le cose
e per voi e per me. Sarebbe meglio,
per terminare ogni dificoltà,
che tutti due fugissimo di qua.
L’affare, se stiam qui, finirà male.
voglio un poco ascoltar). (Da sé in disparte)
                                              Dove pensate
                                         A casa mia.
che bisognando vi farà da madre.
                                  Andiamo subito,
prima che se n’accorgano.
                                                 (Bravissimi!
Senza dir nulla a me voglion fugire?
Questo torto mi fan? S’han da pentire). (Da sé e parte)
                                           E la mia roba?
Pazienza; l’averem, se si potrà;
                    Andiamo pure.
                                                  Chi va là? (Bravando colla spada)
(Questo è Mingone; non lo conoscete?) (Piano a Dorina)
Chi siete voi? (A Mingone)
                            Un uomo disperato,
ho Dorina cercato e non la trovo
e vuo’ saper che cosa v’è di nuovo.
(Ah lasciatemi andar). (A Masotto)
                                            (Zitto, vi dico). (A Dorina)
Una donna mi par che là vi sia.
Voglio sapere s’è la donna mia. (A Masotto)
Dove saranno andati? (A Mingone)
                                           (Eccoli qui). (A Titta)
(Sento dell’altra gente). (A Masotto)
                                              (State zitta). (A Dorina)
(V’ho trovata sul fatto). (A Dorina prendendola per un braccio)
                                             (Questi è Titta.
di far un colpo bello da prudente). (Parte)
Non mi spaventa quanta gente c’è.
Così del loro ardir li ho castigati).
volevano rapir la cameriera.
Tu, scellerato, me la pagherai. (A Mingone)
Tu esente dal castigo non andrai. (A Titta)
Ne parlarem domani; e voi frattanto
fate che siano ben chiuse le porte. (A Masotto)
Che facevi tu qui? (A Titta)
                                    Tu, che facevi? (A Mingone)
Per diffender Dorina io son venuto.
Ed io venni per te solo in aiuto.
Son bricconi ambidue; lor non credete.
                                     Doman vedrete. (Parte)
una parola in grazia ed ho finito.
forse ben io di dar piacere a tutti.
fra loro acceso un sì terribil foco.
Se non voglion ch’io parli, anderò via,
                                       Dove andate?
                                          Su via parlate.
                              Così sarà.
che all’uno e all’altro per destin s’oppone.
                                E non l’avrà Mingone.
non l’avesse Mingone e tant’è tanto
per esempio, con un fuor di coloro,
non restarebbe ognun col suo decoro?
e dato in mano alla giustizia sia.
di Titta per lo men sia bastonato.
che un simil complimento a lor si faccia.
Ma Dorina però, la poveraccia,
per causa di color che hanno fallito,
dovrà dunque restar senza marito?
Che si mariti pur; che importa a me.
Lo faccia, se Mingon quello non è.
e presto si potrebbe stabilirla.
                     Che vi par? (Al conte)
                                             Vogliam finirla? (Alla contessa)
Vuo’ ch’egli piaccia a me.
                                                Non vuo’ che sia
                                 S’ei fosse... per esempio...
Ma non ci fate più penar così.
Se chiamasse Dorina ai casti amori,
per esempio, il fattor di lor signori? (Inchinandosi con modestia)
            Perdoni. (Inchinandosi al conte)
                              Masotto!
                                                 Servitore. (Inchinandosi alla contessa)
                                        Caro fattore!
Non vi dico per or né sì né no.
Non vi rissolvo ancor; ci penserò.
che si potrebbe, per esempio, eccetera. (Inchinandosi parte)
                                                 Voi, che facciamo?
che si sposi Dorina con Masotto.
Sì, ma di casa vadan via di botto.
v’amo e figlia d’amore è gelosia.
compatirla convien s’ella è gelosa.
questa guerra fatal. Sposi Masotto
Dorina, se la vuol; poi vadan via,
non vuo’ più guerra colla sposa mia.
lumi, dolci prepara ed ogni cosa.
me lo figuro nella mente mia;
ma ancor lo sposo non si sa chi sia.
                                           Cos’è stato?
Il padrone ogni error mi ha perdonato.
io d’essere lo sposo ho gran speranza.
(Titta sarà per me più facilmente).
                                          E come fu?
Oggi i mariti non comandan più.
si fa per ordinario nelle case;
per farsi rispettar: «Voglio così»;
guai al marito che non dice sì.
fanno contro di noi tanti schiamazzi
e ci corrono dietro come pazzi.
Evviva, evviva, son contento affé.
Ho veduto il padrone e la padrona,
e senz’altro lo so che son io quello.
vossignoria che sposerà Dorina?
Quello sarà di me che il ciel destina.
E Livietta si lascia in abbandono?
Me ne dispiace ma impegnato io sono.
Per un millione non vi sposerei.
non mancano mariti a una mia pari.
Ne ho di meglio di voi, ne ho più di sei,
se mi voleste, non mi degnerei.
Eh voi dite così perché, perché...
di questa gioia voi vi degnareste.
non mi dispiacerebbe; ma se sposa
Dorina? E chi lo sa? Titta e Mingone
hanno egualmente le speranze sue
e resterà burlato uno dei due.
di sposar un che fosse rifiutato?
Mi degnerei di soggettarmi ad esso?
Eh? Perché no? Così venisse adesso.
a farmi un altro scherzo per vendetta,
che Dorina si sposa immantinente.
                                Eccolo a voi presente.
che fra due litiganti ha guadagnato.
assicurato il lor consentimento.
Si faranno le nozze in questa sera.
                                     Così si spera.
                 Sarà vostro, se volete.
                                           Che dubitate?
                                    Non gli abbadate.
Se vi piace, pigliatelo, figliuola.
Dunque lo piglierò per non star sola.
                                    Sì, certamente;
fidatevi di me; vostro Cupido
                             Di voi mi fido.
                                         Così vi credo;
quanta bontà per favorirmi avete;
la mia consolazion solo voi siete.
ch’egli la sposerà. Mancami adesso
le nozze e con Dorina... Eccola, affé.
questo bell’apparecchio che ha ordinato
tutto, tutto per voi qui si prepara.
chi sarà poi? L’ho da sapere anch’io.
sposo sarà Masotto che v’adora.
che sposata da lui sarà Livietta.
e ho veduto, signor, quanto mi basta.
Oh questo è un altro dimenar di pasta.
                                  Non più parole;
Andate via di qua, che già so tutto.
Perché venirmi a rompere la testa?
Andate via di qua; siete un briccone.
Bene, me n’anderò; la riverisco.
                                           (Io vi patisco).
                                              Signor no.
                                          Chi vi trattiene.
                                          (Mi sento in pene).
Compassion non vi fu né vi sarà.
Non occorre sperar più fedeltà.
Grazie vi rendo, che venute siete
della mia cameriera. (Alle ballerine)
                                         Vi ringrazio,
che essendo i sposi a favorir venuti,
ora i nostri piacer sono accresciuti. (Ai ballerini)
un po’ di caritade ancor per me.
                                          Così è.
M’ingegnerò di ritrovarlo or ora.
a ricever le grazie che mi fanno.
La sposa di veder mi par mill’anni.
                                     Va’, che t’inganni.
lo sposo tu non sei ma lo son io.
Ecco lo sposo; lo vedrai or ora.
                Che novità?
                                        Così finite
son le cause fra noi della gran lite.
               Se il matrimonio ti diletta,
potrai a tuo piacer sposar Livietta.
Se Livietta m’accetta, io suo sarò.
Ho un natural che non sa dir di no.
Io solo a bocc’asciutta son restato.
di nobili ed allegri testimoni,
celebrati saranno i matrimoni. (I personaggi tutti siedono e si principia il ballo, terminato il quale si rialzano i personaggi, li sposi si danno le destre e tutti cantano il seguente)

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