Metrica: interrogazione
527 endecasillabi (recitativo) in La ritornata di Londra Venezia, Geremia, 1756 
(Vorrei sol se potessi andar da lei). (Da sé)
                                             (Io dal marchese
(Mi vuo’ sciorre da lui). (Da sé)
                                              (Vuo’ congedarmi). (Da sé)
Io soglio andare all’osteria del Fico.
Non restate per me, ch’io so la strada.
                                 Andate pure.
                                            (Vorrei entrare...) (Da sé)
                                      (Non se ne vuol andare?) (Da sé)
visite io credo non vorrà per ora.
                                             (Quando sen va?) (Da sé)
                                    Venire io penso
                                             (Ma quando parte?) (Da sé)
Poscia quando egli parte io tornerò). (Da sé)
(Se non va non mi stacco). (Da sé)
                                                   Amico addio.
Addio. (S’ei se ne va, men vado anch’io). (Da sé. Parte)
È partito il rival, voglio provarmi
d’essere il primo a visitar madama.
me l’ha fatta conoscere viaggiando
sia servita da me, non dal marchese.
Voglio avanzarmi e battere alla porta.
                                         Dove andate,
mandar per la città? Non ha i staffieri?
Pratica ho più di lor del mio paese.
                                   La mi comandi.
Sì, quand’altro non vuol, sarà servita.
E non sdegna di far quel che si usa.
                                           È presto ancora.
                                         La non ci pensi,
            Che vorreste dir?
                                              Ma... m’intend’io.
Credo anch’io di capire. (Mette la mano in tasca)
                                              Un uom di mondo
Ditemi; vi ho capito? (Dandole una moneta)
                                          Signorsì. (Prende la moneta ridendo)
una buona occasione è ancor per me.
Vivo solo d’incerti e starei male,
a ricevere in casa un tal imbroglio?
continuerà sino a Bologna il viaggio.
Qui in Milano non è che di passaggio.
Ma tal fortuna ha fatto poi col canto?
                                    Come tant’altre
che fatte ricche in Inghilterra intesi
Più rispetto contessa ad un germano.
col rispettar discreta suora e nobile,
Ma se cangierà stil su tal proposito,
son donna e farò anch’io qualche sproposito.
che riceve le sue grazie pregievoli.
(Ha maniere costui grate e piacevoli). (Da sé)
per me e per la sorella che desidera
e d’inchinarsi alla padrona amabile.
(Questo fratello suo parmi adorabile). (Da sé)
ma se vuol favorir, l’avrò per grazia.
(Per cagion del fratel voglio esser docile). (Da sé)
la prego ancora il mio rispetto accogliere.
Tutto quel che poss’io saprò concedere.
(La fratellanza mia le ho fatto credere). (Da sé)
che venga il suo dovere a far con lei.
(Volentier col fratello io resterei). (Da sé)
                               Avete sì gran fretta?
Verrò, signora. (La padrona anch’ella
vuol più bene al fratel che alla sorella). (Da sé)
sofferente assai più che non sarei.
Per finezza maggior vuo’ andar da lei.
quanto il fratello suo, sì, mi contento
di soffrire da voi sì gran martello.
                                          Finirà allora
che mi avrete a sposar ma non ancora.
che in voi la gelosia più non vedrò.
d’essere sposo mio, no, non sperate.
Ho sofferto due anni in Inghilterra.
Credea d’essere in cielo e son per terra.
                                            Eh vada via.
Eccoci in campo colla gelosia. (A Carpofero)
                                        Sì, poverino.
(Mi ha donato egli pure uno zecchino). (Da sé)
i servitori il suo dover, che espongano
la musica più scelta e più perfetta,
la scimia, il papagallo e la spinetta.
la guardia far perché non sia rubato.
si vedesse il fratel far da staffiere...
Presto andate, che viene il cavaliere.
Vuo’ studiar di non essere geloso). (Parte)
lo sposerei, s’ei fosse più corrente.
Sostenermi vogl’io; seder conviene. (Siede)
                               Serva, marchese. (S’alza un poco)
                                    Certo.
                                                  Se il brama,
questo tronco parlar; non so se voglia
Ho appreso in Londra a ragionar così.
                                                   Si vedrà.
                                    Di restar qua.
sono contento anch’io. (Vorrei sedere). (Guarda intorno)
Ehi. Si porti una sedia al cavaliere. (Ad un servitore)
                                       Anzi.
                                                   Vorrei
la fortuna, l’onor dei cenni vostri.
                                           Non val niente.
Io ne ho sedici d’oro e sei gemmate.
                                  Volea il coraggio
ma nel genere suo so ch’è stimata.
Ehi; vieni qui. (Al servitore) Recala a mio fratello.
Che se ne serva per portar per viaggio.
                                Anzi.
                                            Mi par di no. (S’alza)
L’aggradimento mio vi mostrerò. (S’alza)
(Perderlo non vorrei, ch’è generoso). (Da sé)
(Secondo il vento navigar si suole). (Da sé)
Se l’onor di servirvi io deggio avere,
e all’inglese non vuo’ malinconia.
e i regali accettar con quel disprezzo.
Se sarà all’italiana un po’ indulgente,
io sarò, fin che posso, il suo servente.
(Eccolo ancora qui. Voglia mi viene,
s’egli non se ne va di questo loco,
di pettinargli la parrucca un poco). (Da sé)
                                Schiavo umilissimo.
                                             Io non lo so.
Di qua non partirò senza inchinarla.
                                                      Ella è partita
che da lei non mi veda andar lontano,
                              Gliel’ho baciata
Fortuna vostra che non vi ho veduto.
                                     Io son chi sono.
Tutto quel che potrò son pronto a fare.
ora l’ammazzerei. Mi vuo’ tenere). (Da sé)
Vostra è la borsa mia, so il mio dovere.
che soffrirlo non posso e mi vien male.
Ho da sentir di più? Bel complimento
                                                  Ei va cercando
Che? Sareste per questo ancor geloso?
che fanno a voi un bell’onor costoro,
offerendo al fratel le borse d’oro.
                                     Non è vergogna.
e se torna a offerir gli rompo il muso.
Maladetta ancor tu colle imbasciate.
In verità da ridere mi fate. (Parte)
                             Vorrei star qui, signora.
                                     Serva.
                                                   Amico.
              Come si sta? (A madama)
                                        Così e così.
Siete in buona salute? (A Carpofero)
                                           Signorsì.
                                Anzi.
                                            Vi siete
dalla stanchezza ristorato? (A Carpofero)
                                                  Anzi.
Fin che si fa così, non mi dispiace.
(L’incontro non vorrei... C’è qui il barone). (Piano a Giacinta)
(Non vorrei che nascesser criminali.
fin che celo il barone in altro loco). (Piano a Giacinta)
Quel che si dice non importa a lei. (Parte)
                                       Non signore;
ritiratevi un poco in quella stanza.
Volentieri madama, io vi obbedisco. (Va nella stanza)
Questa, confesso il ver, non la capisco.
voglio far o madama il dover mio. (Le bacia la mano)
                                       Amico, addio.
                                        Obbligatissima
                                         Ha riposato.
non venni a esercitare i miei doveri,
perché il loco ho ceduto ai forestieri.
                                              Io son contento
di trattarla e servirla in casa mia;
mi rende, per cagion di mia sorella,
quel giovin che Carpofero si appella.
se potessi parlar... Ma vuo’ tacere.
                                        Non so niente...
Basta... Io sono una giovine prudente.
                                           Oh per l’appunto!
                                             E che vorreste!
nascondesse l’amante? Io non saprei...
Ma quand’anche il sapessi, oh nol direi.
e quel ch’io so non mi trarran di bocca.
se mi dite di lui la verità. (Le offre una moneta)
Qualche cosa dirò... Ma non vorrei...
Spiaccionmi in casa mia cotali scene;
perché il volto di lei non mi dispiace.
correggerla, ammonirla e minacciarla...
Hai le cose ordinate? All’altrui vista
Gioie, astucci, orologi, argenterie.
che par la stanza una bottega in fiera.
per mostrar quanto piacque e quanto vale
per destare l’invidia in chi non ha.
tante gemme veggendo, argenti ed ori.
Anzi i regali, allor, vengon maggiori.
                                 Sarà l’amico...
                                        Parla, dov’è?
                      Con chi?
                                         Colla contessa.
                                             Ma, signora,
                                                 Ed egli no?
(Eh si sbrogli da sé, ch’io vado via). (Parte)
per non svelare ch’ei non sia fratello.
m’offre il contento d’aver qui alloggiata
                                      Bene obbligata. (Sostenuta)
(Un po’ men di sussiego). (Piano a madama)
                                                  (Asino). (Piano a Carpofero)
                                                                    (Grazie). (Piano a madama)
                                             Anzi.
                                                         Vorrei
degne del merto suo più che non sono.
Da viaggio siam noi, l’albergo è buono.
(Gradite un poco più). (Piano a madama)
                                            (Briccone). (Piano a Carpofero)
                                                                   (A me?)
(Che maniera incivil! Che orgoglio strano!
Son costretta a soffrir per suo germano). (Da sé)
(Ci parleremo poi). (Piano a Carpofero)
                                       Mi spiacerebbe
di vedervi da noi stare in disaggio.
                                           Eh siam da viaggio.
(La contessa ti piace). (A Carpofero)
                                           (Oibò. Scherzai). (A madama)
                                              Anzi.
                                                          Quest’«anzi»
                                              Anzi restate.
                                               Un’insolenza
                                              Con sua licenza. (In atto di partire)
Vi lascio in compagnia di mio germano.
più discreto del vostro e più civile.
andar io deggio e le mie parti ei faccia.
                                         Non la capisco;
prendersi di me gioco; in caso tale,
l’ardire, in grazia vostra, a lei perdono.
Ma si rammenti alfin ch’io son chi sono.
Ah mai non foste in casa mia venuto!
che fa torto al seren di quei bei lumi.
tratto con un po’ più di civiltà,
                                        Forse... Chi sa?
Ma poi, quando mi parla, io casco giù.
(Io gli darei uno sgrugnone in faccia).
                              Non lo so.
                                                  Vedete
Eh! Non la troverete. (Lo trattiene)
                                         E perché no?
                                             Eccomi qui.
che per tutt’oggi non vi avrei veduta.
(Vuo’ accrescere a colui la gelosia). (Da sé)
(Ah non posso più star; voglio andar via). (Da sé in atto di partire)
                            Vuo’ andar per un affare.
(Io vi vorrei parlar da solo a sola). (Piano a madama)
Che comanda da me? (A madama irronico)
                                          Seder vorrei.
Non c’è nessun? (Guardando se vede i servi)
                                 Mi favorisca lei. (A Carpofero con ironia)
Ho a farvi il servitore? Oh questa è bella.
Lo può fare il fratello alla sorella.
                               La prenderò da me. (Va a pigliar la sedia)
(Posso soffrir di peggio in questo dì!)
(Fin che sarai geloso andrà così).
                                           (Smania il meschino). (Da sé)
vorrei dirvi una cosa in confidenza.
                                       Vado.
                                                    Aspettate.
(Eh lasciatelo andar). (Piano a madama)
                                          Portate qui
                                     Signora sì. (Va a prenderla dal tavolino)
Questo vi piacerà. (Dà tabacco al marchese)
                                    Certo è prezioso.
                      (Va’ via pazzo geloso). (Piano a Carpofero)
giacché con lei la gelosia non vale). (Da sé)
(Ma quando se ne va?) (Piano a madama)
                                             Che fate qui? (A Carpofero)
dell’amor che per me voi dimostrate. (A Carpofero)
Via, le sedie accostate un poco ancora.
(Ah sento che la rabbia mi divora). (Da sé)
(Pena, freme, lo veggo, eppure io gioco
che discreto lo rendo a poco a poco). (Da sé)
tutto, o bella, il mio cuor spiegarvi io bramo.
Alle brevi; sospiro il vostro affetto.
E se posso sperar da voi costanza...
Quando promisi amor, dissi abbastanza.
                                   Signor no.
                                 Dove?
                                                L’ora è avanzata. (Osserva l’orologio)
Bella, bella davver, mi piace assai.
Presto mi spiegherò; voglio esser solo.
                                   Signorsì.
                                Grazie...
                                                  Adagio un poco.
                                 Sì, ve l’ho detto.
                                     Ve lo prometto.
questo picciolo segno ora aggradite...
di questo don, che vi offerisce il cuore,
la graziosa spiegar forza d’amore.
                                               Oh bentornato.
perché della contessa amante siete.
Non è ver, ve lo dissi e ve lo giuro.
che questa mostra d’oro fosse argento.
                                                    (Impertinente).
                                           (Oh maladetto!)
in segno dell’amor che vi professo...
Via, la stima e l’amor vuol dir lo stesso.
offrirvi in segno di sincero affetto.
                             Le vostre grazie accetto.
                        V’ho capito, esser voi solo.
                                         Che rispondete?
(Resistere chi può?) (Da sé agitato)
                                        (Mi par furente). (Da sé osservando Carpofero)
                                          Niente, niente.
(Siete geloso ancor?) (Piano a Carpofero)
                                         (Geloso? Oibò). (Piano a madama)
                                                A voi le do.
            So quello, signor, che mi conviene. (Al barone)
(Se geloso non sei ti vorrò bene). (A Carpofero)
ah la sincerità quant’è mai bella!
(Sì! Stai fresco anche tu). Con sua licenza.
vuo’ quand’io non ci son quel che sa fare). (Da sé)
                                      Niente, niente.
(Or mi è venuto in mente un’invenzione,
per meglio rilevar la sua intenzione). (Da sé)
                                              E che volete?
L’ho con chi l’ho; non mi seccate più. (Parte)
Ma mi posso fidare? È un po’ difficile,
vuo’ meglio assicurarmi. In questa casa
quel che dal di lei cuor sperar si può.
Con questi baffi e col straniero arnese
e vedrò s’è fedel, vedrò se mi ama.
                                         Sì vol madama.
Genua star nave e qua venir per terra.
(Sarà ricco l’inglese). Favorisca...
Fatto viaggio nell’Indie, aver tesoro.
                                                     Certo.
E d’avervi introdotto io sola ho il merto.
Voler donar... donar io robba molta. (Finge guardar nelle tasche)
Ma non star; non aver; un’altra volta.
si ricordi, signor, come si fa. (Parte)
Questa è una cameriera impertinente.
Ma la burla non vuo’ mi costi niente.
                            Madama. (Inchinandosi)
                                                Riverisco. (Sostenuta)
                               Sì, l’aggradisco.
                     Bene.
                                  Star Milan?
                                                          Milano.
                           Di che?
                                            La man.
                                                              La mano. (Gli dà da baciar la mano)
                                         Sì, l’aggradisco.
(Madama con ciascun fa la cortese). (Da sé)
(Quanto mi piace la maniera inglese!) (Da sé)
                                               Bien oblisé.
Je me porte troe bien, mon cher monsieur.
                                            (È qui un inglese). (Da sé)
(Piacemi assai lo spirto del francese). (Da sé)
                               Vostro servitore. (Inchinandosi)
                    Son da voi.
                                           Bella. (Con gravità)
                                                        Cortese. (Con gravità)
                                           Viva il francese. (Allegra)
                                     Non voglio musici;
e credo ch’egli venga a queste porte
                                                 Favorisca. (Verso la scena)
Serva divota di vossignoria. (Scherzando)
                                          Si vu plé,
Sì, canterò per compiacer madama. (Portano la spinetta, eccetera)
donerà del suo core un po’ per uno.
                                           (Sono a segno). (Da sé)
(Questa franchezza sua mi move a sdegno). (Da sé)
Anche per me l’ultima volta è questa.
non mi piacque gran cosa il far l’amore;
voler per tutto ove son io cacciarvi...
Stanco è lo sdegno mio di tollerarvi.
sia signora o plebea, sia brutta o bella,
e son costretto a vezzeggiarla almeno.
io son più nell’amar fido e costante.
volesse alla mia brama esser seconda...
che il suo cuore ha donato a questa bella.
Lo sapete, signor, ch’è mia sorella?
ma intanto vuo’ che stiate ritirata.
pria d’alloggiar in casa le persone.
Signora sì. (Ma una gran vita è questa).
                                             E perché mai
                                          Vuo’ partire
subito, in questo giorno. Ho già ordinato
la carrozza, i cavalli e quanto occorre.
                                   Lo lascio qui.
vada altrove a cercar miglior destino.
                                     A dir il vero
Anche nel petto mio l’amor contrasta
e il briccone con me fa sempre il peggio.
s’inganna affé s’egli mi crede stolta,
non l’accomoda più, no, questa volta.
                                           Oh questo no.
                                   Ed io meschino?
                                     Son sì pietosa
Perdonatemi, o cara; alfin l’ho fatto
                                      Fu un’insolenza.
                                            No? Pazienza. (Piange)
(Piange quel disgraziato e si dispera).
Sì, voglio andarmi a vendere in galera.
                                     Traditora,
Basta... Sì morirò... Pazienza... Addio.
                                                Son pentito.
Giuro e se il giuramento io faccio invano,
                               Ve lo prometto,
Sì sì, partir conviene e darsi pace.
Eccola per l’appunto, ella s’appressa.

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