Metrica: interrogazione
457 endecasillabi (recitativo) in La buona figliuola Parma, Monti, 1757 
in mezzo al caso mio duro e funesto
esercizio miglior darmi di questo!
questo è il tristo pensier che mi tormenta,
trovo il solo piacer che mi contenta.
un germoglio troncar dall’arboscello
e mirarlo cresciuto arbor novello.
Godo io stessa innestar sul prun selvaggio,
or le pesche succose ed or le pera.
Eccomi; ad aiutarti io son venuto.
ho adacquato da me quante tu vedi,
opre delle mie man, fiori odorosi.
manca, Cecchina bella, il più bel fiore.
                                                   Il fior d’amore.
senti che fiore è questo e dimmi poi
se in beltà, se in piacer sorpassa i tuoi.
che il tuo labbro e il tuo cor vanta così,
intesi a dir questa canzone un dì.
di Mengotto nel seno ha la radice.
Sì ti sarò fedele, fedelone;
bastami solo un po’ di compassione.
Compassione da me ne avrai da vendere
ma di più non so dar; più non pretendere.
                                            Sì se ti basta
nell’innocente amor c’entri ancor tu,
come amico e fratello e niente più.
fratellanza, amicizia è troppo poco.
amami da parente. Un dì, chi sa?
parentela fra noi cangiar potrà.
sento qualche pietà per lui nel core
ma mi fa ingrata un mio segreto amore.
Oh ciel! Dove m’ascondo? Eccolo qua.
questa mane venuta al tuo mestiere.
                                              Ma non voglio
che così ti affatichi. Altri ci sono
fatti per queste cose grossolane.
                 Cosa signor?
                                           La mia Cecchina.
                                        Ben; comando
e voglio e dico, ed obbedir conviene,
che tu, Cecchina mia... mi voglia bene.
Signor, con sua licenza. (Vuol partire)
                                             Dove vai?
                                         Eh che c’è tempo.
Senti... Ti vuo’ parlar... Vuo’ confidarti...
(Non posso più; voglio scoprirle il cuore). (Da sé)
(Mi batte in seno... Ah non tradirmi, amore).
un amante son io che da te brama
                                        Con sua licenza. (Parte correndo)
ma teme a dirlo ed è innocente ancora.
(Costei amica è di Cecchina. Io voglio
confidarmi con lei). Sandrina, appunto
                                Con questo peso
Via non ci vede alcun, t’aiuterò. (Leva a Sandrina i cesti dalle spalle e li pone in terra)
che il padrone davver mi voglia bene). (Da sé)
vorrei saper se mai provasti amore.
                                                Eh signorsì.
(Eh già lo vedo; è innamorato in me).
                                       Oh sì, signore.
Comandatemi pur, son di buon core.
                                               Non so dire...
Senti, te lo confido, amo Cecchina. (Sandrina si mortifica)
So che amica le sei; fra voi ragazze
non avrà quel rossor ch’ella ha con me.
ma non mi piace far quest’imbasciata.
(Mi voglio vendicar). Vi servirò.
Tu, Sandrina, per me le parla un poco.
Dille che se vorrà... Capir mi puoi.
Dille, parlale, oh certo! Sì signore!
che può avere l’amor d’un cavaliere
né per altri vuo’ far questo mestiere.
                                La riverisco.
                                        Sì signore.
Saper vorrei se la padrona è alzata.
a portar queste frutta alla signora. (Accennando i cesti)
                            Chi siete?
                                                 Il cavaliere
Armidoro son io, cui la marchesa
destinata è in isposa e qui mi sprona
Mi consolo, signor, vado a servirla.
Con lei certo sarete fortunato.
Ma... vi tocca un gran pessimo cognato.
io non voglio dir mal... Ma se sapeste...
perché il vizio non ho di mormorare.
Vel dirò in confidenza. Ma tacete.
                                   È innamorato
che fa la giardiniera. Non si sa
dove sia nata né di chi sia figlia.
ma si crede che voglia anche sposarla.
                                      Ve l’assicuro.
pria di porger la mano alla marchesa
                                         È tanto vero,
e con tal fondamento ora vi parlo,
che anche sull’onor mio posso giurarlo.
ma un sì vil parentado io sdegnerei
ad acciecare il faretrato arciero,
scoprir vogl’io se un tal periglio è vero.
lungi dal mormorio, lungi dal tedio
sempre dolce mi fosti. A te d’intorno
spira un aere giocondo, un ciel sereno
ma ora sei al cuor mio piacevol meno,
mancami d’Armidoro il dolce aspetto,
a compir fra quest’aure il mio diletto.
Presto, presto la mancia; in questo punto,
sarà contenta, il cavaliere è giunto.
Va’, che impaziente l’amor mio l’aspetta.
Capperi! La signora ha una gran fretta! (Parte)
Ah, convien dir che i nostri cuori amanti
Io pensava allo sposo ed ei sen viene.
a riveder la sposa? (Al cavaliere)
                                     Ah, che opportuno
Adorata marchesa, a voi m’inchino. (Mesto)
veder non parmi il bel sereno usato.
Lo diceva ancor io, pare insensato.
che mi turba la quiete; il mio costume
per lung’uso vi è noto. Allor che in seno
nutro qualche dolor, qualche sospetto,
deggio in viso mostrarlo, a mio dispetto.
Certo. Un uomo sincero è un gran portento.
Credo non se ne dian quattro per cento.
sia di femmina vile e che destina
                             E chi è costei?
                                                         Cecchina.
Spero che non sarà. Di mio germano
conosco il cor; ma se dal cieco amore
si lasciasse tradir? Se mai cedesse
al desio delle nozze innonorate,
Armidoro crudel, voi mi lasciate?
Quel che farei non so. So che vi adoro,
il perdervi la vita; ma non deggio
ad onta dell’amor che mi consiglia
il decoro tradir di mia famiglia.
impedir che ciò segua. Idolo mio,
che sarebbe di me, se mai perdessi
d’un sì bel core il prezioso acquisto?
Ah il pensarvi mi uccide! Ah non resisto. (Parte)
Chiamami la Cecchina. (A Paoluccia)
                                             Sì signora.
La chiamerò; sgridatela ben bene
quest’incognita ardita e prosontuosa
ch’esser vorria d’un cavalier la sposa.
ma per sfuggire col german l’impegno
finger è forza e simular lo sdegno.
                                              Sì, Cecchina,
e un piacer che ti chiedo or mi farai.
Vuol, parlando così, mortificarmi.
La padrona ha il poter di comandarmi.
brama una giardiniera. Ella pregommi
che io ti avessi al suo desir concesso
e di cederti ad essa ho già promesso.
                                        Dunque, signora,
Non l’è più cara la mia servitù?
Sì, mi sei cara. E se di te mi privo
alfin ti mando dai congiunti miei.
Ma io... padrona... voglio star con lei.
                                   Certo... Lo giuro.
per la padrona tua vanti sincero,
mostra coll’obbedir che dici il vero.
Signora mia... con vostra permissione...
                                           Colle donne
vatene e non mi far più replicare.
Obbedirò; ma se il padrone mio...
Non dico ma l’andarmene di qua,
senza dirlo al padrone, è inciviltà.
o, disgraziata, ti farò portare. (Cecchina resta mortificata e piangente)
cerco, ricerco e non ti trovo mai.
                                                Da mia germana
ed io per civiltà gliel’ho accordata.
Io non voglio che vada e non andrà.
quel che in dubbio credea mostra esser vero.
                                          E perché no?
                                 Questo nol so.
se pentir non ti fo, non son chi sono.
                                    Sei un’indegna.
Bel rispetto che avete a una germana!
ma, signora, vuo’ far quel che vogl’io. (Parte)
No, non gli riuscirà, lo giuro al cielo.
che lontana non è la mia vendetta.
                                         Io non so certo
Chi sa che per timor non sia fugita?
Non solo fa all’amor con il padrone
ma con tutti i villani; e il mio Mengotto,
ora spasima e muor solo per lei.
                                    Fu ritrovata
                                         I suoi parenti
Credo che da una zingara sia nata.
L’ho scacciata da me, pazzo furente,
e poi dopo trovai ch’ella è innocente.
sì la ricercherò per mari e monti;
alla città costei; sia consegnata
al cavalier cui va diretto il foglio.
Sciocca, ti pentirai del folle orgoglio. (Parte)
Di lei che vonno far? Pazzo briccone!
Perché aver gelosia del mio padrone?
venite a liberar quell’innocente. (I cacciatori colle loro armi sorprendono i custodi di Cecchina ed essi fuggono inseguiti dai cacciatori medesimi e nel fuggire cade ad uno la spada di mano e l’abbandona)
E il padrone crudel mi ha abbandonata.
Obbligato, signori, avete fatto
un’opra di giustizia e di pietà. (Verso la scena)
Ah mia cara Cecchina, eccomi qua.
                                    In ricompensa
Lasciami respirar. Mi manca il cuore.
Vieni meco, Cecchina. Ah mio tesoro. (Leva Cecchina di mano a Mengotto e la conduce seco correndo)
Mi ha levato il boccon quasi di bocca.
e il mio padron me la conduce via.
Sì mi voglio ammazzar. Son disperato.
Con questa spada, ch’è di man caduta (Prende la spada)
a un assassin vinto dal suo timore,
vuo’ per disperazion passarmi il cuore.
lasciatemi morir; son disperato.
spada per ti passar? Se fol morire
alla gherra fenir, morir soldate.
mi leverò dal cuor la mia Cecchina.
                                         Star una giovane
E per donna talian star disperato?
per gherra, per onor perder la pelle.
Ma no morir per queste pacatelle.
                                      Ma in cortesia,
                                   Star bon soldato,
granatier che serfir mio colonello.
Stato Italia altra folta e star fenuto
                           Sì sì, paesan, fenir,
star tutte sorte de difertimenti.
                                     Sì è passata
e il marchese mai più non la vedrà.
                                     Sì mia cara,
Ma contento però non è il cuor mio.
debole il vostro amor. Giusta ragione
vi sdegnava lo so con il germano;
di lasciarmi, crudel, giusto pretesto.
Nol dissi ancor né di lasciarvi in seno
                                 Lo minaciaste almeno.
l’opera dal pensier, v’amo, v’adoro
vincer ogni passione a mio dispetto.
lo comprendo, lo so ma vuo’ ch’ei sappia
senz’alcuna riserva e rispettata.
Chi l’avesse mai detto! (Piano a Paoluccia)
                                            Io non so come
Glielo possiamo dire un po’ per una. (Piano a Paoluccia)
                                      Dirò, signora...
                                             È già partita.
Ella deve saper... Ditelo voi. (A Sandrina)
Vi è qualche novità? (A Sandrina)
                                        Dirò signora.
Ho principiato a dir; voi dite il resto. (A Paoluccia)
                                         Ha da sapere...
                                 Dal padron serrata.
un vil german colle violenze sue?
Dubito che vi burlin tutti due.
Va’ tu dal cavalier. Digli che tosto
a me sen rieda. (A Paoluccia) E tu va’ dal marchese,
Vado, signora sì. (Incaminandosi)
                                 Vado ancor io. (Incaminandosi)
                     Son qui.
                                       Dica, signora.
Quel che ho da dir non ho pensato ancora.
                                      Poi si destina.
Voglio prima saper che fa Cecchina.
              Glielo dirò. (In atto di partire)
                                     Presto. Badate
dal cavalier, tosto da mio fratello.
Una cosa alla volta. (Parte, indi ritorna al suo tempo)
                                     Andiam bel bello. (Parte, indi ritorna al suo tempo)
tu mi fai delirar, sorte nemica.
Che risolvo, che fo? Se vado io stessa
mi cimento, lo vedo, a un rio periglio.
Penserò; prenderò miglior consiglio.
non può avere perciò; s’ei meco fosse
non avria qual si vanta un cuor fedele.
Voglio andare, signor. (Quasi fugendo)
                                           Dove?
                                                          A gettarmi
se degli sdegni suoi la causa io sono.
e colla tua bontà non farai niente.
e se vuole ch’io parta, io partirò.
Finalmente io son serva; ella è padrona.
Cara Cecchina mia, tu sei pur buona.
dato ricetto a un insolente amore.
non si dee innamorar del suo padrone.
ma io senza pensar... Basta, l’ho fatta.
Tutto quel che facesti hai fatto bene.
Anzi dell’amor tuo voglio premiarti;
e a dispetto di tutti io vuo’ sposarti.
Degna non ne son io. Son poverina.
Presto, dammi la mano. (Vuol prenderla)
                                              Oh signor no. (S’allontana)
Eh che ti arriverò. (La seguita)
                                    Dove m’ascondo? (Va schermendosi per la stanza)
Dietro ti correrei per tutto il mondo. (La prende)
Sta’ zitta, non gridare. (La tien salda)
                                           Via di qua,
un po’ più di rispetto e di onestà. (Si scioglie)
e son più che non era innamorato;
sposar femmina vil non mi conviene
ma è sì bella e gentil!... Ma le vuo’ bene.
                            Signor.
                                            Chi star padrone?
                         Son qui, sono a sentirla.
                                   La casa è mia.
                                           Degli anni assai;
da mio padre, signor, l’ereditai.
quando per gherra star Tateschi Italia.
Qua reccordar che piccola figliola
e mai più picchlina afer veduta.
                                       Jo main Her.
star fenuto nemico e so picchetto
batter de nostra marcia... come dir?
fatto madre morir; persa creatura.
Quanti anni saran? (Con agitazione)
                                      Star finti e più.
Ie monsieur? Star tatesco e non monsieur.
A tatesco dir Her; non dir mai più
                                     Ditemi Herr,
la perduta figliuola avea nel seno
La fanciulla, signor, si è ritrovata.
                                                  In casa mia.
Ah venite, signor. Voi la vedrete.
Non so dove mi sia. Tutto saprete.
Ah tar Taifle, main Her. Nix dir monsieur.
                      Tar Taifle! Star barone.
                                   Sì, fol fenir. (S’incamina, poi lo tira indietro)
                                         Mariandel
                                                  Jo.
Mi chiedete s’è bella? Io vi rispondo
che più bella di lei non vidi al mondo.
                                       Dirovvi poi,
Ah star furbo talian, main libre Her!
avrò un po’ di riposo. Ah son sì stanca
che son costretta a desiar la morte.
si potesse saper da chi son nata.
ogni pena con pace, ogni dolore,
se abbracciar mi potesse il genitore.
Ma vano è il sospirar, vano, infelice
vuo’ sedere a quest’ombra. Almen venisse
di sonno lusinghier la dolce calma. (Siede)
ogni travaglio suo già vi ho narrato.
                                        Jo main Ssozz! (Amorosamente verso Cecchina)
tutto da me saprà. Voglio al fattore
parlar intanto, perché pronto e lesto
sia per le nozze mie. Ritorno presto,
non le parlar. Voglio essere presente
Giubbilo di contento. Addio, monsieur.
                              Non lo dirò mai più. (Parte da un lato della scena)
Star dorme ancora. Sì, dormir pichlina.
Ti voler... Jo venir... Star pur bellina. (S’accosta)
                                             Ahi dove sono? (Si desta)
                                       Gli piace il buono. (A Sandrina)
Questo signor chi è? Come si appella? (A Sandrina)
Eh non serve mentire. Abbiam veduto.
colla ragazza si diverte un poco. (A Tagliaferro)
                                           Io non so niente.
                                     Povera innocente!
È una cosa da ridere. Il padrone
e poi la lascia andar con un soldato.
                                                  O che pensando
un po’ meglio il marchese ai casi sui
voglia staccarsi e maritarla altrui.
quello che convien dir; m’accorderete
gli uomini non mantengon fedeltà.
quella che disse or or la cameriera?
È verissima in molti. In me non già.
Oh voi siete la stessa fedeltà! (Ironicamente)
che vi parli il cuor mio schietto e sincero,
da amico, da fratel, da cavaliero.
Ma l’affare vorrei lesto e concluso.
                                      Basta che meglio
io vi veda pensar, marchese mio.
Oggi senz’altro mi marito anch’io.
                                Una baronessa,
che distinto si è sempre in ogni azione.
                             Da cavalier vel giuro.
                                       E come fu?
Cecchina in casa mia non serve più.
che di lei, che di me prendeste gioco.
Non facciamo su questo altri contrasti,
vuo’ sposare una dama e ciò vi basti. (Parte)
                                               Anch’io son lieta,
La vostra man per mio ristoro aspetto.
dover giungere al fin de’ miei timori.
spenti sì presto del germano acceso.
Questa sera il padron sposa Cecchina.
per le nozze un magnifico apparato.
                                       No no, signora,
l’ha ordinato per lui, lo seppi or ora.
                                              Eh padroncina
                                       Ei l’ha giurato.
Chi sposerà, se vuol sposar stassera?
un novello timore, un nuovo affanno.
Ma non voglio temer sì nero inganno.
                                                È ver Sandrina
                                                Cosa intendesti?
che una dama sposare ha destinato.
Quel che ti posso dir, Mengotto, è questo,
ch’egli sposa Cecchina; e lo fa presto.
                 Chi te l’ha detto?
                                                  Il disse or ora
il cavalier che sposa la signora.
Non è vero; il padrone innamorato
la sorella deride ed il cognato.
                                         Poverino!
Tu resti senza amante, in caso tale
non potresti di me far capitale?
                                     So che nol meriti,
ma... si potrebbe dar. Son di buon core.
perder la mia Cecchina; ma pazienza.
Voglio una sposa e non ne vuo’ star senza.
quando intorno non han certe magagne,
son le femmine poi tutte compagne.
ci è fuggita di mano a tutti due
e si è rinchiusa nelle stanze sue.
                                              Adesso
l’ho mandata a chiamar per una donna
ch’è di sua confidenza. Questa donna
l’ha sulla strada già vent’anni in punto.
confrontano le lettere mostrate,
anche il segno confronta. Al certo è dessa.
La mia cara Cecchina è baronessa.
                                                   Sì Marianna,
Oh Marianna mio ben! Son contentissimo.
Fol feder, fol parlar; poi andar subite
per combatter Turchia. No poder star
se testa no tagliar. Esser io state...
anz, zoà, train campagne bon soldate.
ma stare a casa mia mi piace più.
posso sposar senza oltraggiar degli avi
parmi aver riportato una vittoria.
son sforzata venir, che comandate?
e poi darle la nuova a poco a poco). (Da sé)
                                       Bene; vorrei
andaste un mazzo a preparar di fiori.
quel che ne voglio far non domandate?
Obbedirvi soltanto è il dover mio.
Se nol chiedete voi, vel dirò io.
                                                (Oh fiero duolo). (Da sé)
                                     Me ne consolo. (Simulando la mestizia e vuol partire)
Non chiedete la sposa almen chi sia?
                                      Sì, più d’ogni altra
lo dovete sapere anzi voi stessa.
Ehi! Sposo una tedesca baronessa.
                                       No no, sentite
il suo nome è Marianna. È tanto bella
e le vuo’ tanto bene e le sarò
                              Basta, crudele.
Più non resiste il cor; schernirmi poi...
Baronessa, mio bene, ah siete voi. (La prende per la mano e si getta a’ suoi piedi)
il marchese così? (Ad Armidoro)
                                  Non crederei.
Come ei merta, se è ver, lo tratterei.
Ed io, signora, ci scommetto il naso.
che capace di ciò non sia il padrone.
Sarebbe un’enormissima viltà.
                                    Si sentirà.
Animo, già son pronti i testimoni,
si concludano i nostri matrimoni.
non è molto lontan; la vederete.
                                      Son cavaliere,
                      Eccola appunto.
                                                     Ah mentitore. (Al marchese)
                           Son cavalier d’onore,
questa è la dama; e ch’io mentir non soglio
leggerete le prove in questo foglio. (Dà un foglio al cavaliere, quale in disparte lo legge piano alla marchesa)
ie tar Taifle profar da buon soldato. (Toccando la spada)
                                   Lo credo anch’io.
Se in isposo mi vuoi, tocca pur su. (Si danno la mano)
Maraviglio di voi. Son cavaliero.
e a mio fianco portar spada soldato.
Sì, sposatela pur, che anch’io son lieto.
far i doveri miei; ma ho ancora il cuore
fra la gioia confuso e fra il timore.

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