Metrica: interrogazione
535 endecasillabi (recitativo) in La donna di governo Roma, Puccinelli, 1761 
più bramar dalla sorte; il mio padrone,
invaghito di me, crede ch’io l’ami
Corallina siam stati allegramente.
Bada bene Moschino a non dir niente.
se ti scuoprissi, tradirei me stesso.
allor che sono dell’istesso umore
la donna di governo e il servitore.
                Cosa vuoi?
                                      Ma veramente
                                            Oh sì, l’adoro.
                                        Taci sorella,
                                Forse assai peggio.
                                                   Parliam d’altro,
                                          Hai fatto bene.
Qualche cosa di bello io ti direi. (A Moschino)
vedova con due figli e alla mia porta
se non ne porto io, nessun ne porta.
fa un’opra di pietà; ma tu birbone
e la peli ben bene infin sull’osso.
Dica quello che vuole, io non la credo.
                                  Che vuoi tu dire!
Qualche cosa per te saravvi ancora.
No, non mi burla più certo Lindora. (Parte)
voglion sempre mangiare, oh ecco Redolfo.
vostra sorella che da qui veniva,
                                                Io non saprei,
qualcun altro di voi lo stesso ha detto.
Sono un uomo da ben, savio e onorato;
e per la mia bontà sono invidiato.
se mi credete un vagabondo, addio.
Qualche cosa ho ancor io da confidarvi.
Prima quel che vi par ditemi voi.
                                        Parliamo pure.
col padron che mi crede e mi vuol bene,
vuo facendo la dote a poco a poco
che cercate di far qualche mestiere.
ma il mal si è che non so far niente.
                                         Ho i miei riguardi.
                                        Per qual ragione?
Campai senza mestiere infino adesso
e ho da temer con una moglie appresso?
                                              Eh via, ho scherzato.
Lasciamo andar. Bisogno ho di monete.
che abbia il conto a tener di quel ch’io spendo.
(Guai s’ella sa che li ho perduti al gioco).
                                         Eccoli qui.
                                    Non vi è pericolo,
faraon, la bassetta e la primiera.
(Sì, mi voglio rifar di ieri sera).
Eh timore non ho di esser gabbato.
Povero il mio Ridolfo, non è vero
Corallina, il padron si alzò da letto.
Non lo posso soffrire; ogni momento
ha da fare la fin delle cicale. (Parte)
va rubando al padrone e lo strapazza.
A cercare di me senz’altro è andato.
non gli dica l’affar della cantina.
               Corallina. (Di dentro)
                                   Animalaccio. (Da sé)
Corallina. Che tu sia malede... (Esce e s’incontra in Corallina)
che ho fatto risvegliar la servitù.
e han fatto queste man pane e bucato.
Casa peggior non vidi in vita mia.
L’ho detto e lo farò; voglio andar via.
                                         Sì, son bestiale.
qualche volta un padron che vi vuol bene.
                                     Per qual ragione?
non mi ponno veder. Vostra nipote,
perché a lei non permetto il far l’amore,
concepì del livore. Ha protestato
per obligar lo zio, ch’è di buon core,
a scacciarmi da lui con mio rossore.
Corallina scacciar? Prima di farlo,
tutti gli amici ed i parenti miei.
io so chi siete e non ho dubbio alcuno.
Benedetti quegli occhi e quel bocchino.
Prendi, ti vuo’ donar quest’anellino.
                             A voi.
                                          Oh compatite,
e può far, quando vuol, tacer la gente.
Il ciel me l’ha mandata. Guai a me,
s’ella andasse lontan da queste soglie.
Meglio saria ch’io la prendessi in moglie.
                                   Sì sì, buongiorno.
                                     Ve lo ridico,
se abbastanza finor non ve l’ho detto;
a Corallina s’ha a portar rispetto.
Appartiene ella forse alla famiglia?
Ditemi, è vostra sposa o vostra figlia?
                                       E ben, signore,
                                             In questa casa
Sì, lo sa la dispensa e la cantina.
                                   Questa gran donna,
rubba al padron per regalar l’amante.
la sorella, l’amante e il servitore.
                                              Ridolfo ha nome.
                                      So quel ch’io dico.
Andate via che non vi credo un fico.
Crede tutto a colei ed io, meschina,
scapito in grazia sua; qui non si parla
di maritarmi ancor; perché lo zio
mi attraversa colei tutti i partiti.
                                         Ah cosa fate?
tanto più cercherà la mia rovina.
                                               In questo loco
verrà colei fra poco, alle mie stanze
oggi vi aspetterò. Non sarò sola.
                                     Non v’è alcun dubbio.
di godere con voi pace e contento.
Gran cosa è quest’amor! Ne’ suoi principi
oltre la servitù che impone amore.
stanca, annoia, dà pena e sol l’amante
è in soffrire, è in penar saldo e costante.
Io non so che mi far! Son nell’impegno
e vi vuol per uscir arte ed ingegno.
                                   Venite forse
                                        Oh, non v’è dubbio,
Se volete ch’il lodi, il loderò.
                                          Sì, è verissimo.
Mi dispiace di me che sto malissimo.
                                    La povertà!
Bella davver. Perché non lavorate?
Cosa ho da lavorar? Che si guadagna
a filare, a cucire, a far calzette?
che si lascia pelar come un cappone.
                                   Avrei bisogno
                                    Ve lo darò.
Ma coll’acqua, vi averto, io non lo vo’!
                                    Coll’occasione,
                                           E cos’è stato?
al padrone ogni cosa; ha detto tutto,
                                 Non dubitate;
delle cose più belle ho accomodate. (A Lindora)
Ha creduto Fabrizio alla nipote? (A Moschino)
Basta ch’io parli, non la crederà.
(Scommetterei ch’egli ha perduto al gioco).
che mi dispiace assai. Vi era un anello
che addattato per voi sarebbe stato;
per non aver denar, non l’ho comprato.
                                          Cospettone;
                                          Il mio padrone.
                                      E perché no?
Se nol gettate via vel strapperò.
                                    Sì, signora.
                                 Caro Ridolfo,
or mi cavo l’anello e a voi lo dono. (Dà l’anello a Ridolfo)
Dite, avrete di me più gelosia? (A Ridolfo)
                                Non dico questo.
Bastami, se qualcosa ei dona a te,
che tu, in segno d’amor, la doni a me.
                                     Ah no, fermate;
                                     Eh, ch’io non voglio,
Sono povera anch’io; se Corallina
tutto quel che può far lo fa per te,
                                       Se avessi il modo,
                               Lindora, se volesse,
                                            Se vi dà l’animo
che subito mi sposi e che mi faccia
padron della sua dote, un regaletto
di duecento zecchini io vi prometto.
                                          E anche di più.
                                          Vi prometto
e di farvi son pronto un istrumento.
Ma sarete poi buono? A mia sorella
                                   Sì, buonissima.
                                      Non giocherò.
Quand’è dunque così, le parlerrò.
Ma fate presto, che per dirla, ho fretta.
ricordati che voglio il mio danaro.
                                        Vado subito.
                                Sì, non ne dubito.
Per dir la verità, seicento scudi
non li posso sperar neanche in trent’anni.
ma il matrimonio lo potrà cambiare.
                                    Cosa dite
di quella impertinente di Rosalba?
di tutto quel ch’è fra di noi passato
                                       Vo’ vendicarmi,
voglio con lei rifarmi. Il suo Fulgenzio
ho mandato a chiamar. Da lei verrà
Brava, così mi piace; e il tuo Ridolfo
                                        Come!
                                                       Il meschino,
credilo, fa pietà. Se di te parla,
lagrime grosse a guisa di gragnuola.
non ti staccare dai consigli miei.
Certo, s’io fossi in te, lo sposarei.
                                  Per lo passato
gli piaceva giocar; ma egli è al presente
un uom da bene, un giovane prudente.
                                              Son pentita
d’averne detto male. Or ti consiglio
                                             Niente.
tutto quello che vuoi. Dimmi, il buon zio
Bene, facciam così. Fa’ che Fabrizio
per Ridolfo e per me creduti sposi.
se sia tuo, se sia mio, non s’avvedrà.
Brava, brava, sorella. Qualche volta
                                      Siamo figliuole
tutte due di una madre. Ad avvisare
per far dei tuoi sponsali l’instrumento.
(E per la somma dei zecchin trecento).
un consiglio mi dà che mi par buono,
secondo il genio mio ma non vorrei
e che il vecchio da lui mi discacciasse.
                                   E ben trovasti
                      Di venir mi ha assicurato.
che Rosalba l’inviti. Il tempo e il loco
si è concertato e vi sarà fra poco.
                                             Dite bene
benché vaglia un tesor, non ha un quattrino.
                                                 Non importa,
bastami che stassera in certo impegno,
da cui sottrarmi non avrei potuto,
Corallina, mi diate un po’ d’aiuto.
Volentier; di’, che vuoi, che ti abbisogna?
Ve lo direi; ma ho un poco di vergogna.
Una man lava l’altra, già si sa.
S’ha da fare una cena in compagnia.
un capretto, un pasticcio, quattro libbre
di vitella mongana, due fiaschetti
del miglior vin che pel padron serbate
e vorrei due salviette e due posate.
                                        Perché stassera,
giacché ogniun se la gode e si solazza,
vo’ condurre ancor io la mia ragazza.
                                Via, non dite male
di quei che fan l’amor, che di quest’arte
                                          Avrò il servizio?
Tutto quello che vuoi ma con giudizio.
Giudizio; ci s’intende. Oh questa è vaga.
Noi pensiamo a sposarci e il padron paga.
che venga sera e che il padron sen vada
sollecito a dormir. Voglio andar subito
                                      Si può sentire?
ve la voglio cantar coll’istrumento.
vo’ passarmela anch’io la parte mia.
                                      Impertinente!
                                 Così rispondo.
Presto in casa vi dico e vo’ sapere
quando siete sortita e come fu... (Con sdegno)
Perché siete un rabbioso indiavolato.
                                    Siete una bestia,
                                      Come! Una bestia? (Con sdegno)
Vi riscaldate e non si sa il perché.
                                                  Per me? (Placato)
vecchio con dei denari in quantità,
                                         Non mi seccate.
                                      Via Corallina,
siate meco bonina. (Avvicinandosi)
                                     Andate via.
Ogni momento ci troviamo a queste.
                                        Siete una peste.
ma lo sapete quanto ben vi voglio.
Non parla chi vuol ben con tanto orgoglio.
                                      Mel promettete?
Sarò tanto bonin. Sì lo vedrete.
                                Che modo è questo
di parlare con me? Ne dubitate? (Va in collera)
Ora tarroccherei... No, perdonate. (Si cangia)
(Non si può trattener). Dirò, signore,
Li vorrei ricovrar nel vostro tetto.
                                     Non ardisco.
                                           Vi contentate?
Non vi ho detto di sì? (Con sdegno amoroso)
                                          Non vi scaldate.
                                      (Bella maniera!)
Date loro l’alloggio e da mangiare
tutto quel che volete. Oh questa è buona!
                                      Vi ringrazio.
Di questi complimenti io ne son sazio.
                                      Cosa vuol dir?
vo’ trovar per marito un soggettone.
Ah lasciare non voglio il mio padrone.
                                          Sì, padron mio.
Ah morirei se ti lasciassi anch’io.
                                     Ah voi dovreste
                                             Veramente
Capir non so chi non si sa spiegare.
ho legato il mio cor con altri lacci»,
cosa risponderian que’ brutti occhiacci;
dica quel che sa dir quel vecchio matto,
ha da essere così, chi ha fatto ha fatto.
io gli potrò cantar questa canzone.
l’amante in casa della sua signora
e che l’inganni non lo crede ancora.
certo non si ritrova ai giorni nostri.
                                             E quando?
                                                                   Or ora.
                                             E pur mi fece
l’imbasciata Moschino in vostro nome.
Non vorrei che cadesse in vostro danno
Lo dissi, è ver, ma tuttavia son sola.
                                            Non so che dire.
                                       Al zio Fabbrizio
                                     Non temete.
Questa donna chi sia voi non sapete.
                                       Restate pure.
nascerà, lo protesto, un precipizio.
Perché venire, se non sei chiamata?
Piano con questo «sei», con sua licenza,
ella non ha con me tal confidenza. (A Fulgenzio)
                                           E in qual maniera
che mi fate del ben poss’io sperare?
che il vostro signor zio sposar vi vuole
                                           Oh me meschina!
nemica non vi sono. E se l’amore
mi aveste per Fulgenzio confidato,
vostro sposo oramai sarebbe stato.
Si sdegnerà lo zio se qui vi trova. (A Fulgenzio)
Basta che, s’egli vien, vi nascondiate.
Ch’egli qui venga a taroccar mi aspetto.
Andatevi a celar nel gabinetto. (A Fulgenzio)
Ci vogliamo fidar? (Piano a Rosalba)
                                     Sì, vo’ fidarmi. (Piano a Fulgenzio)
Mi raccomando a voi, vado a celarmi. (A Corallina)
che mi siate nemica e che parliate
                                    Son male lingue
Vi voglio tanto ben... Ma eccolo qui.
vi ho da dare una nuova assai gustosa.
                                        Vi ho fatta sposa.
                   Con ser Agapito del Sole.
Se dirà: «Non lo voglio», avrà ragione.
Sentite la ragione e poi strillate.
Il perché, la raggion ditemi tosto.
Perché l’amante ha in camera nascosto.
Ditemi chi è costui? (A Corallina)
                                        Fulgenzio è lì. (Accennando la porta)
Fuori di quella stanza. (Verso la porta)
                                           Eccomi qui.
                                        Sì signore;
Amo Rosalba e un galantuomo io sono
ma contro te, che corbellato mi hai,
giuro vendetta e me la pagherai. (A Corallina, parte)
Can che abbaia alla luna. Corallina,
                                           In questa guisa,
sol per tradir la carità si affetta? (A Corallina)
Dice il proverbio: «Chi la fa l’aspetta».
ed ella, se è scoperta, avrà pazienza!
ho trovato per voi ch’è buono e bello;
non vi voglio più dar né meno quello. (Parte)
ma una grazia, un favor. Fulgenzio io bramo.
Sia l’amor che consigli o sia l’orgoglio,
gli affetti miei sagrificar non voglio.
se ora piango per lei, di me non rida.
e vi aggiunsi di più mezzo presciutto.
Delle tue contentezze è giunto il dì.
Si accomodi, signor. (Non lo capisco). (A Lindora)
                                   Veramente
che son pronto a sposarvi. (A Corallina)
                                                  (Oh che drittone!)
                                           Ehi non parlate. (A Moschino e Berto)
                                 Non dubitate. (A Lindora)
Che ha detto? (A Lindora e a Ridolfo)
                             In verità non gli ho badato. (A Corallina)
I termini saran del notariato. (A Corallina)
dell’ingrata famiglia. Ogniun m’insulta,
mio nemico si è reso e mio tiranno.
Fulgenzio penetrò? Sì, venga pure.
Son nipote e non figlia e posso anch’io
                                       E donde viene
Mi rallegro con lei che ha preso stato.
                                             Il mio pensiero
di scherzare non è, se dico il vero.
                                           Io bramerei
la spiegazion da lei. Perché sì tosto
scordandosi di me si è fatta sposa?
negar vorreste ed ingannarmi ancora?
                                  Che bel consorte
che vi tocca goder! Vi doni il cielo
                                Agapito del Sole.
Piano, signora mia, non lo nasconda.
questo suo matrimonio ha pubblicato.
                                                  Io dico il vero.
dopo che a tutti due venne a strillare.
Fabrizio che il negozio è bell’e fatto
e nominò il notar che fe’ il contratto.
                                     Sì, lo conosco.
Scrive male in volgar, peggio in latino.
Mandiamolo a chiamar. Sentiamo un poco
Sentirem dal notar che cosa è stato,
senza di voi, l’obbligazion non tiene.
a un sì bel parentato? Ma peraltro,
e di scernere il ver non veggo l’ora.
                                             Questo titolo
                                       Non siete voi
vuol far da principessa. Se sapeste,
                                        Taci, briccone,
che assassini con essa il tuo padrone.
e la mancia convien ch’ella mi dia.
Sì sì, te la darò, che nuova è questa?
Basta. Puoi risparmiar le tue parole.
                                             Ho già capito.
lo sdegno a raffrenar. Dunque egli è vero
quella dote che dare a lui si aspetta?
                                            Sì, occorrendo,
Ridolfo, una parola. (Lo chiama in disparte)
                                       Dite pure. (Forte senza accostarsi)
Ma venite da me. (Lo chiama come sopra)
                                   Nessun ci sente.
Favellatemi pur pubblicamente. (Come sopra)
altrimenti, vel dico, è un’insolenza.
perché solo il suo bene ho procurato.
te la voglia rapir? Se avessi voglia
vorrei trovare un’occasion più bella.
ho l’istrumento e ti farò citare). (Piano a Ridolfo)
mi entra un po’ di sospetto; qualche cosa
per star coi suoi figliuoli in compagnia.
Può star qui e può mangiare a sazietà...
                                          Ma in casa meco
                                       Pazienza. Io pure
                                        Ecco il padrone.
                                       S’ella non vuole
io me ne vado per i fatti miei. (A Fabrizio)
Fra noi sarebbe il parentato stretto.
                                     Io sto a sentire.
                                        Non so che dire.
                                 Andate via.
                                    Taci, fraschetta.
Venga, venga, signor, che affé l’ho caro.
(Non vorrei ci scoprisse). (A Ridolfo)
                                                 (In ogni evento,
raccomandati pure al tuo talento). (A Corallina)
                                          Per l’appunto.
                       Qui non c’è fava.
                                                        Favorisca,
                                                 Stamattina,
si è maritata con Ridolfo Astuti. (Accenandolo)
Itevi a far squartar che vi ringrazio. (Il notaro passeggia con fretta)
                                      (Non so che dire). (A Ridolfo)
M’inganasti così? Parla, rispondi.
scusate in me quel tristarel d’amore.
Alzati, via di qua. No ferma, io voglio
vendicar i miei torti. Ah disgraziata,
voglio cavarti il cor... (Uh sei pur bella).
Io mi rallegro con quel bon figliuolo. (Verso Ridolfo)
                                       Signorina
Sì sì, dee finir peggio. In questo punto
che si faccia da lei, che l’ha ingannato,
tutto restituir quel che ha rubato. (Parte)
E tu, che in guisa tal te n’approffitti,
la pena pagherai de’ tuoi delitti. (A Ridolfo e parte)
                                   Io già me lo pensavo
ma questa affatto non mi preme; io t’amo
vuole che ancora senza dote, o cara,
brilla quest’alma in seno a te vicina.
giubila il cor quando ti sono allato.
                                   Sei il mio tesoro.
l’unico e sol pensier de’ pensier miei.
E di dolce piacer c’inonda il core.
delle sue grazie raccogliamo il frutto.
Siete mia. (Porge la mano a Rosalba)
                      Vostra sono. (Dando la mano a Fulgenzio)
                                               È fatto tutto. (A Fabrizio)
Vada in malora. (A Moschino) Aspetta, cosa vuole?
                                      Maledetta!
                                              Signor zio...
Non parlate; vuo’ fare a modo mio.
                        (Prima tu). (A Corallina)
                                               (Via, tutti due
e ciascuno ha da far le parti sue). (A Ridolfo)

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