Metrica: interrogazione
361 endecasillabi (recitativo) in Germondo London, Cadell, 1776 
ch’empie la reggia di tristezza e sembra
                                      Ah! Il fato avverso
ci ha colpiti, o regina! Abbiam, se falso
di voce universal non è il terrore,
tu perduto lo sposo, io ’l genitore.
disciolta alfin dall’odiato oggetto!)
che dal padre alla sposa era dovuto,
il figlio, il successor t’offre in tributo.
la mia speme riposa, e sento... (Oh dio!
Freno il corso con pena all’amor mio).
                                      Ma, prince, il regno
stanco d’un re, ch’avido di trionfi
finor che il nome e di regina il grado,
questo regno che t’ama e ti rispetta
da te riposo e sicurezza aspetta.
rigido adorator, sarai tu sempre
                                     Ah no, regina,
seguo le tracce, è ver; ma no, d’amore
io nemico non son quanto si crede.
(Rosmonda, l’idol mio, ne può far fede).
Stelle! Che intesi mai! Qual nova speme
Germondo, idolo mio, d’amor capace
è il tuo bel cor?.... Ma che ragiono audace?
Come, ah come sperar del figlio in petto,
sposa del genitor, destare affetto?
perché afflitta, o regina?
                                              Ah, del mio core
penetrasti l’orror; piucché io non dico,
dagli occhi miei, da’ miei sospir tu vedi
e la cagion del mio dolor mi chiedi?
Alarico vivente, un novel foco
potea farti arrossir ma, poiché il padre
contrastarti chi può d’amare il figlio?
di rendere innocente invan presumo;
Tento vincer me stessa e ’l tento invano.
di Germondo rival.... Ma vien la bella
l’importuno timor ceda alla spene.
                                Trista, dolente,
                                   Del suo cordoglio
comprendo il peso e sono a parte anch’io
e pensando al suo duol mi scordo il mio.
libera alfin ti rende. Il vuoto soglio
e l’amor de’ vassalli il giorno affretta.
Lusingarmi non so. Germondo è erede
dei diritti paterni e forse, oh dio!
dell’odio alla mia stirpe.
                                              Eh meco invano
tenti dissimular ciò che il mio core
penetrò da gran tempo. I tuoi begli occhi
Ei t’ama, il sai, ed in lui sol tu speri.
destar qualche pietà. Ma al trono asceso,
ch’ei non renda mia sorte anche più dura?
se un cuor ti manca a sostenerti al trono,
e del mio brando e del mio cuor disponi.
di Germondo è nel cuore... Eccolo, oh dei!
mi trema il cor co’ neri dubbi in petto.
                                            Signor...
                                                              Deh, lascia
questi indegni di te timidi accenti,
segni di schiavitù. Le tue catene
disciolse amor. Libera sei, non vedi
in me del padre il successor regnante?
Vedi l’amico tuo, vedi l’amante.
del tuo amor, di tua fé?
                                            Più certa prova
dartene non poss’io. Divider teco
come il mio cor vuo’ la mia sorte e il regno;
lo giuro ai dei; prendi la destra in pegno.
Ah! Mi basta il tuo cuor...
                                                Ma soffri, o cara,
ch’or da te m’allontani...
                                              Oh ciel!
                                                               La voce
sentomi al cor del genitor che affretta
i doveri d’un figlio alla vendetta.
che incominci a regnar...
                                               Navi ed armati
tutto è pronto al grand’uopo.
                                                     E abbandonarmi
                        Resta d’Alvida al fianco.
Sappia ch’io t’amo e t’userà rispetto.
                                Lisimaco m’accenna
                                     Deh, pensa, oh dio!
qual sarà, se mi lasci, il viver mio.
                                       Un de’ seguaci
ch’ei vive e a noi ritorna.
                                               Ah! Di natura
sacri moti, v’intendo. Al vicin porto
esamina, confronta e t’assicura
se vive il padre mio. Va’, del tuo zelo
                                     Volo a obbedirti. (Parte)
Rosmonda, oh dio! se il genitor respira,
che fia di te, che fia di me? Preveggo
dura legge può esporci. Eppure ad onta
sento ch’io sono amante e ch’io son figlio.
Grazie a te, o nume che sull’onde imperi,
le patrie mura a riveder ritorno.
Sottisfatto è l’onor, pago è lo sdegno;
ed aggiungo a’ miei regni un nuovo regno.
                                               Signore,
finalmente ti rende? Il regno in pianto
                                        Quai nuove, oh cieli!
del figlio mio, della mia sposa?
                                                          Entrambi
per te afflitti e dolenti...
                                             Andiamo, amici,
di riveder le care spose e i figli.
volisi il prence a prevenir... Che veggo!
Non arresti importuna i passi miei.
Ah! Lisimaco, è ver che novel grido
succeduto è di fama al suon primiero.
Vive Alarico e a noi ritorna.
                                                    È vero.
forse Alarico è il conduttore?
                                                      È quello.
Germondo il sa, me lo nasconde, ingrato!
lusingarmi finor? Germondo, oh dio!
mi sagrifica al padre. Ah quel ch’io sento
dir non potrei... Palpito, tremo. Appena
Santi numi del ciel, soccorso, aita!
m’ha ferito l’orecchio? A questi lidi
                               Invano, invano
de’ creduli vassalli in sen si desta.
il padre a vendicar. Sciolte ha le sarte,
vola in Norveggia ed a momenti ei parte.
Parte l’idolo mio né degna almeno
                              Non dubitar, regina,
da te, pria che le vele ei sciolga al vento.
che decide il destin de’ giorni miei.
l’occasion di svelare il foco ond’ardi.
Paventa una rival, temi se tardi.
                      Rosmonda...
                                               Oh dei! Che sento?
questo di gelosia tormento estremo,
ardo d’amore e di furore io fremo.
amore e ritrosia mal vanno insieme.
La regina mi fugge e qual mia colpa
                                        Ella è ben lungi,
                                              E perché sdegna,
quand’i’ giungo, restar?
                                             La tua presenza
freme in vederti e la cagion nasconde.
                                   Altra passion nel core
                             E qual passione?
                                                              Amore.
                              Sciolto da morte il laccio
che a Alarico l’unia, que’ nodi infranti
ch’erano a pentimento ognor soggetti,
cambiati ha Alvida in tuo favor gli affetti.
Puoi pensarlo? Puoi dirlo ed osi, audace,
                                   Giustizia i’ rendo
alla fiamma che l’arde e non l’offendo.
                             Ah! Il testimonio indegno
d’una fiamma che insulta il padre e ’l figlio
                                       Facil non credo
                                  Eterni dei! Che vedo!
In qual punto ritorno? A Alvida in braccio
di vedermi ricusa e il figlio armato
trovo nelle sue stanze. Ah, non celate,
qualunque siasi, il mio destin, parlate.
                                             (Ah con qual cuore
svelar posso l’insulto al genitore?)
Figlio, tu taci e ti confondi e in viso
di colore tu cangi? Il tuo silenzio
                                      Padre, t’è noto
qual fede, qual onor nudrisco in petto,
deh perdona, s’io taccio, al mio rispetto. (Parte)
Parte e tace Germondo. Ah! Tu, Cratero,
per pietà d’uno sposo e un padre afflitto
svelarmi il delinquente ed il delitto.
né mentir né accusar. La lunga assenza
dal tuo regno, signor, della tua morte
diede moto all’ardir. Comprendi il resto.
di Cratero dubbioso è il reo svelato.
                                         Deh permetti
che al giubbilo commune...
                                                   Olà. (Chiama le guardie)
                                                              Qual ira
contro me? In che t’offesi?
                                                  Al duol perdona
che mi toglie a me stesso. Olà, si cerchi
e s’arresti Germondo e a me sia scorto. (Alle guardie)
Come, signor? Il figlio tuo?
                                                   L’indegno
tentò d’Alvida soggiogar gli affetti.
                                        Qual prova addurre
                                                Una ne vanto
che può farti tranquillo e che mi onora.
di due fiamme ad un tempo. Oh cieli! Arrischio
forse i tuoi sdegni meritar. Ma salvo
l’onor suo, la tua pace. Ah per Alvida
non arde il figlio tuo d’amore in petto;
per me l’accese un innocente affetto.
E questa, audace, onde i miei sdegni aumenti,
per escluder la colpa? Un nuovo fallo
in lui mi scopri e nol diffendi. Ardito
la mia schiava sedur presume ed osa
può l’audacia arrischiar fino alla sposa,
                                       Signor...
                                                         T’accheta.
                                    Di lui ti parlo,
perché meglio di te quel cuor conosco.
Parlo a un tenero padre, a un re clemente,
guardati di punirlo, egli è innocente.
mi ricerca costei. Ma invan m’arresto
all’arte lusinghiera; arder potrebbe
l’ambizion di regnar più che l’affetto.
Qual ardir, qual orror! Cieli! Una sposa,
una regina! Ah, chi potea tal onta
prevedere, temer? Ma il padre offeso
me sospetta e minaccia. Oh dei! Soffrire
Io sarò d’ira e di rossore oggetto?
Ah Germondo, che fai? Salvati, il padre
reo ti crede e ti cerca e l’ordin diede
                            Oh dei! Sai tu, mia vita,
di qual fallo ei m’accusa?
                                               Ah, dal suo labbro
l’intesi io stessa e inorridii.
                                                   Che pensa
                                    Penso che invano
macchiar la tua virtù. Fuggi, mio bene,
t’invola all’ire d’un sdegnato padre.
E di lasciarti, ingrata, mi consigli?
                                   Taci, m’uccidi.
agitata è quest’alma. E deggio io adunque,
se il rivederti mi sarà concesso?
Vivi, vivi sereni i giorni tuoi;
d’un sventurato cuor ultimo pegno.
Prence, t’arresta; in me vedi un amico
m’accinsi il cenno ad eseguire io stesso,
sol per tuo ben, non per vederti oppresso.
Se colpevole sei, fuggi. Le guardie
che arrestarti dovrian saran tua scorta;
vattene, non temer. Ma se innocente
diffenderti tu puoi, ritorna al padre.
la tua virtù, la tua innocenza illesa.
Veglierà il regno tutto in tua diffesa.
Grato a un popol fedel che m’ama e onora,
certo di mia innocenza, odo il consiglio
che prudenza vi detta e a quel m’appiglio.
prendi la spada mia; recala al padre.
                                 Deh! Non t’espor. (A Germondo)
                                                                   Rosmonda,
se l’amor suo, se l’amor tuo ti cale,
questa non impedir opra immortale.
                                   Ah lo prevedi. Ah il core
già mi sento mancar. Mai più Germondo
                                   Spera, mia vita.
                                     De’ tuoi nemici
Terminate, vi prego, i giorni miei.
il mio giudice alfin non è un tiranno.
Lisimaco, il mio ben, idolo mio,
                                         Gli ordini aspetta
                                        Deh, un sol momento
L’impossibil, Rosmonda, invan mi chiedi.
va’, parlagli per me. Di’ che mi nutro
di lagrime e sospiri... Ah no, non dargli
nuova cagion d’indebolirsi. Ascolta...
Digli solo che l’amo e che gli dei
non cesso di stancar co’ voti miei.
Diragli il cor più che non dici ancora. (Parte)
Che crudeli momenti... Oh ciel, Cratero!
L’importuno mancava a tormentarmi.
non sa farsi miglior. Vive Alarico,
durano i lacci tuoi e se speranza
di Germondo nel cor finora avesti,
colle sventure sue, tu la perdesti.
Torno a offrirmi al tuo scampo.
                                                          E puoi tu stesso
                                     Forse in mia mano
saria l’alma placar del padre irata;
farlo vorrei ma non lo merti, ingrata.
abbia la tua virtù merto e vittoria. (Parte)
resistere a quel pianto e a un vano amore
sagrificar con ignominia il cuore!
fra le ingiustizie, onde l’aggrava il fato,
me trovar suo nemico e congiurato.
sola, dolente, alle mie smanie in preda.
con colpevol silenzio esposto il figlio.
Scusati finché il puoi, cedi a Rosmonda
Ah risveglia quel nome i furor miei!
Pera la mia rival, pera l’ingrato!
Di qual vana lusinga il cor si pasce?
Solo la morte in mio soccorso aspetto.
                                      Lasciami.
                                                          Ah pensa
che se umano è il fallire e se il pentirsi
sol d’ostinarsi di perdono è indegno.
Ah! Il mio furor, ah il mio cocente ardore
aumenta sempre e di me stessa ho orrore.
vuo’ che il reo si discolpi o si condanni.
non soffrirò. Condannalo, se vuoi;
assolvilo, se il brami. Io della colpa
l’autor conosco e di punir m’impegno
la cagion del mio pianto e del tuo sdegno.
M’accusa Alvida di lentezza e teme
nel giudice trovar padre indulgente.
Olà, Germondo a me! Stelle! Qual punto!
Oh padre! Oh figlio! Oh debolezza! Oh amore!
con sì tenero nome. Il tuo sovrano
Il tuo giudice parla; a lui rispondi.
                                          Chiedilo, indegno,
al perverso tuo cor. T’accusa Alvida,
Cratero inorridisce. Il tuo silenzio,
della regina nelle stanze in pugno,
                                       Eppure... Ah padre!
Se men t’amassi e rispettassi meno
                                     T’intendo, audace.
D’una sposa reale osi la fede
render sospetta ed oltraggiar la fama.
Basterebbe assai men per condannarti.
                                    Basta. Soffersi
troppo l’audacia tua. Vendetta chiede
un trono offeso, una real consorte.
Certa è la colpa tua. Sei reo di morte.
                                    T’accheta audace.
Santi numi del ciel! Qual ira ingiusta!
Qual minaccia crudel! Ma l’innocenza,
d’obbedienza e rispetto.
                                              Ove, Germondo?
Lascia, bell’idol mio, lascia ch’adempia
del padre il cenno e, finché reo mi crede,
                                        E in me tu vedi
l’innocente cagion de’ mali tuoi.
Per me Alvida s’irrita. In me Alarico
le tue fiamme condanna. Ah! Se a salvarti
necessario è ch’io ceda e sposo e trono,
vivi, di me ti scorda, io ti perdono.
Ah! Che dici, idol mio? Credi ch’io possa
viver senza di te? Credi che al mondo
che il reciproco ardor de’ nostri affetti?
Tutto soffrir saprò. La morte istessa,
no, non avrà d’indebolirmi il vanto,
se a me lice, cuor mio, morirti accanto.
Grazie, pietosi numi! Altro conforto
non domanda il cor mio. Se il mio Germondo
mi ama costante e se del fato ad onta
l’amor suo, la sua fé sperar mi lice,
sfido il destino a rendermi infelice.
Qual orror! Qual silenzio! In ogni lato
del carnefice mio. Veggo la scure
che sul capo mi pende. Odo il mugito
dell’onde stigie. A sé mi chiama il nero
Eppure, eterni dei! sono innocente.
Ah! Rosmonda, Rosmonda! Ah sei tu sola
della morte l’aspetto. Oh dio! Potessi
una volta vederti e poi morire.
schiuder le ferree porte. Oh ciel! S’appressa
                                       Ah! Fuggi, o prence,
fuggi, non ti arrestar. La tua innocenza
chiara un giorno farai. Ma intanto evita
il momento fatal che il padre irita.
ma profitta del tempo. Aperto sempre
Segui la scorta tua, salvati e parti.
                                  Senza Rosmonda,
                                   Vieni, mia vita;
se viver teco o se morirti accanto
altro bene, altra sorte il cuor non chiede.
quel destin che v’ispira.
                                             Andiam, mia vita.
dalle mura nemiche io tragga il piede,
pegno ti chiedo. Ah non tel chiedo invano.
Proteggeteci, o numi, ecco la mano.
Perfidi! Ad onta mia... T’arresta, indegno.
fui dell’audacia vostra. Olà, ministri,
in sagrifizio all’ire mie insultate
le due vittime ree cadan svenate. (Alle guardie che s’avvanzano)
la speranza, l’amor, l’onor del regno
                                     Evvi chi ardisca
opporsi al cenno mio? Perfidi, io stesso... (Tira la spada e va per trafiggere Germondo)
Ferma, non consumar l’orrido eccesso.
Tu quell’empio conosci e ’l brami in vita?
Solo Alvida è la rea. Da questo foglio
                                        Leggasi, oh numi!
                                                Speriam, mia vita!
è Germondo fedel. Se il reo tu chiedi,
se il colpevole cerchi, in me tu il vedi;
tollerar non potei. Pronto veleno
volontaria succhiai. Cedo al mio fato...
Perdonami, signor, sei vendicato».
Giusti dei! Qual orror!... Ma la pietade...
                                       Invan lo chiedi;
                                    Ah figlio!...
                                                           Ah padre!...
Perdona al mio furor. Ma tu, Cratero,
                                          Ah! Di Germondo
sfortunato rival d’amore acceso,
Tu salvasti mio figlio e ti perdono.
all’audace pietade. Il nodo approvo
di Rosmonda e del figlio. Ah se la colpa
trionfi amor, sia la virtù premiata.

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