Metrica: interrogazione
417 endecasillabi (recitativo) in Il viaggiatore ridicolo Venezia, Zatta, 1794 
Oggi s’ha a far della fatica tanta;
scrivere ne dobbiam trenta o quaranta.
con quattro servitori e due lacchè
e con quattro cavalli al suo copè.
Fosser anche di più, ne avrei diletto,
cederò, se bisogna, anche il mio letto.
questa dama, monsieur, che vien da noi...».
                                         Che cosa vuoi?
torna, dopo due anni, a questa volta.
Sì, venga anch’egli ad alloggiar da me.
che sarà con piacer da me alloggiata».
Caro signor padron, ci pensi un poco.
                                       Ci sarà.
Io gli dico di no, con sua licenza.
Ed io dico di sì. Che impertinenza!
con chi solo per voi piange e si affanna?
che principiaste a favellar d’amore,
schietto vi apersi il core; e prevenuto
confessandolo a voi, da un altro oggetto,
anche il vostro dovea cangiare affetto.
che per due anni si scordò di voi,
Anzi deve tornare in questo giorno.
perciò più lieta or mi vedete in viso.
è di un tenero cor costanza e fede.
Quell’affetto per cui mi struggo e peno,
al primo amor che mi ha ferita e accesa.
che piange e si dispera, poverello?
Cara amica, il sapete, egli mi onora
mi vuol quel core a disperar costretta.
Oggi, contessa, il cavalier si aspetta.
che lontano da voi non scrisse un foglio?
Della sua fedeltà temer non voglio.
dopo due anni, il cavaliere è giunto.
                                           Per prima cosa,
Digli che venga qui, che qui l’aspetto. (A Giacinto)
che si veste, si liscia e si profuma.
d’astucci, scatolette ed altre cose
ed un mezzo bavul d’acque odorose.
Son de’ mesi che aspetto il suo ritorno.
Oh vogliamo star bene in questo giorno!
come un tempo vi amò, doveva subito
Eccolo, amica, il cavalier che viene.
All’una e all’altra il mio dover tributo.
Facciamo il complimento oltramontano.
                                    Io, che ho viaggiato,
Questa dama chi è? (A donna Emilia accennando la contessa)
                                       Tempo a saperlo,
                                       Troppa bontà. (Alla contessa)
Permettete ch’io faccia il dover mio. (Le bacia la mano)
È ospite la dama? (A donna Emilia)
                                    È qualche tempo
Non perdete così l’età più bella. (Alla contessa)
Ha nessun che la serva? (A donna Emilia)
                                              Signor no.
Fin che state con noi vi servirò. (Alla contessa)
trattamento miglior far non sapete?
non è amare e servir la stessa cosa.
Da per tutto, madama, or che ho viaggiato.
che avete fatto del profitto assai.
Un altr’uomo, un altr’uomo io diventai.
Se tornaste un altr’uomo, avrete in petto
adunque un altro cor forse men fido.
Un corsaro son io che torna al lido.
                                      Ditemi un poco
da ch’io manco di qua, quanti amoretti
vi volaro d’intorno al vago ciglio? (A donna Emilia)
Fui costante mai sempre al primo affetto.
Voi mi fate arrossire a mio dispetto.
il corsaro finor fece in amore. (A donna Emilia)
                                Chiedo perdono.
chiamasi in Inghilterra una pazzia.
che ha tratto il cavalier dai viaggi suoi!
Lo stesso ch’egli fa, fate anche voi.
                                                E avrete core
                                    Spero; chi sa?
Sento che dice il cor: «Si cangerà!»
Se mi sprezza talun, lo sprezzo anch’io.
Tutto il vostro palazzo è mal piantato,
le porte anguste e le finestre antiche.
Il vero confessar deesi a drittura,
in Italia non san l’architettura.
                                              Eh niente.
                                                                    A Roma?...
Fuori, fuori d’Italia e stupirete.
arriva il carrozzin con la marchesa. (A don Fabrizio)
Questa dama chi è? (A don Fabrizio)
                                       Raccomandata
A riceverla andiam, so il mio dovere.
                        Maraviglio.
                                               Eh no, signore.
Vivere non s’insegna a un viaggiatore. (Il cavaliere s’incammina verso la porta correndo)
L’ultimo in questa casa è il padron mio;
che lo cacciano un dì fuor della porta.
                                        Sì, madama;
ova fresche, tè lungo e cioccolato.
comandi pur, sarà servita; andiamo.
Questi è il padron di casa? (Al cavaliere)
                                                   Così è.
                                          Io, io madama.
Ecco, scegliete il più gradito odore. (Le offre varie boccette d’odori)
                              Vostro servitore.
Si sente mal? Vuol che le diamo un brodo? (Alla marchesa)
Vi ho capito, madama; anch’io lo godo.
Si ha da star qui? Che cerimonia è questa?
Eccomi, madamina, andiam di volo. (Le dà mano)
Favorisca anche me. (Le offre la mano)
                                        Bastami un solo.
                                     È maritata?
Non ho tempo per or di dir di più. (Parte)
ne ho avuti cento e non ne ho amato alcuno;
che da questa imparai gentil canzone:
da cui l’albergo mio viene onorato.
Alla dama gentil, che ben mi è nota,
offro l’ossequio mio. (Alla marchesa)
                                        Serva divota.
vi offro la servitù. (Alla marchesa)
                                   Serva obbligata.
                                 Son persuasa.
domandi pur con libertade amplissima,
                                Serva umilissima.
                                    Lo credo a lei.
                                          Certamente.
                                    Probabilmente.
Dite, signora mia, donde venite? (Alla marchesa)
                                           Ah! Che ne dite?
Vi sono in Londra de’ costumi strani?
Eh non san niente i poveri Italiani.
                                      E quel disprezzo
                                                      E quel pretendere
una donna obbligar sol con lo spendere?
chi viaggiato non ha non può parlare. (A don Fabrizio)
Siete stata a Parigi? (Alla marchesa)
                                       Oh sì signore.
chi viaggiato non ha non può dir niente.
le figlie oneste a rispettar sì poco. (Parte)
                                           E dice bene. (S’alza)
Chi viaggiato non ha soffrir conviene. (S’alza)
che ha nel corpo uno spirito ambulante!
stanco son d’impazzire e giorno e notte
Anch’io servo un padron ch’è un animale;
ma vuo’ tacere e non ne vuo’ dir male.
Anch’io mi sfogherei, che ne ho ragione,
ma non vuo’ mormorar del mio padrone.
che una civetta come lei non c’è,
sempre qualche bellezza ha che l’incanta,
fa il grazioso con tutte e son settanta.
ogni tre o quattro dì cambia un amante.
Anch’io del mormorar sono inimica.
                                          Non ha la terra
                                            Son figlia onesta.
e pensiamo a trovar miglior fortuna.
più cortese mi sia, fingo di amarla
ma son pronta, prontissima a piantarla.
per amore di lui, ch’io vada matto
ma s’ei crepa, mi vesto di scarlatto.
che in noi viene l’amor dall’interesse.
staremmo in fra di noi perfettamente.
                                          La bella cosa
ch’io vi fossi marito e voi mia sposa!
ma qualcosa di più sa chi ha viaggiato.
né s’impara così di posta in posta.
                                       È un’ora e più
che contendiam per una cosa istessa.
È una contesa tal che v’interessa. (A donna Emilia)
sull’interpretazion della costanza.
la costanza soggetta ai cambiamenti.
di mancator di donna Emilia in faccia.
se si mette a viaggiar, corre pericolo
posso tutto soffrir. Sì, mio tesoro,
l’amor mio, la mia fede io vi protesto.
Qual novità? Qual entusiasmo è questo?
Pietà, bell’idol mio. (Le bacia la mano)
                                      Gente si appressa. (Viene la contessa)
Servitore divoto alla contessa. (Si alza impetuosamente e corre a baciarle la mano)
(Il suo labbro, il suo cor più non intendo). (Da sé)
parmi d’esser più lieto e più felice.
Venga pur la marchesa. (Ad un servitore)
                                              Cavaliere,
                                     Con la ragione
si usa da noi sì fatto complimento.
(Cavaliere gentil, grazioso e bello!) (Da sé)
che la padrona alle altre due preceda.
uno stucchietto d’Inghilterra accetti;
degnisi di aggradir questi fioretti.
e i nomi registrati ho nel mio diario. (Caccia di tasca un libro di memorie)
Vi domando perdon, deggio andar via.
                                             Io non so niente.
È il cavalier che le martella il cuore.
Lascio fare e fo anch’io quel che mi piace.
S’ha da penar? Da sospirar? Perché?
pria che andasse lo sposo all’altro mondo,
Si vede ch’è inclinato a favorirmi.
Vuo’ mostrar d’aggradirlo e divertirmi.
                         Padrone.
                                            In queste stanze
Sola star nel mio quarto io non mi sento.
Favorisca. (Siede ed accenna ch’ei si ponga a sedere)
                      Tenuto io mi professo
                                    Un po’ più appresso.
Perché sì da lontan? Si accosti ancora.
Eccomi da vicino. (Si accosta di più)
                                   Alfin son vedova
                                        Ma! Che ne dite?
Non è un dolor che ogni dolore avvanza,
perdere i nostri giorni in vedovanza?
che a me piacesse e ch’io piacessi a lei...
né trovo un uom che più di voi mi piaccia.
                                     No, davvero;
                               Così e così.
                                       Questo poi sì.
                                      Son ben tenuto.
                           Con il celeste aiuto.
e che il cuore talvolta è un indovino.
                                        Dirò più chiaro,
son due anni ch’io son senza marito.
                                         Sì, vi ho capito. (Consolandosi)
quando crede capir va più lontano). (Da sé)
                               Batter mi sento anch’io.
Non vi dico di più. Per ora addio. (Va per partire, poi si ferma)
come sarebbe a dir, mezzo insensato.
S’ella dice davver, forse... chi sa?
che per me senta il martellin d’amore.
pria che il ferro si scaldi a sì gran foco,
fra noi pensiamo e discoriamo un poco.
anche di mezzodì pranzar col lume. (I servitori portano innanzi la tavola e le sedie e si prepara il pranzo)
                                                 Sì, Livietta;
per spiegarvi davver se vi vuo’ bene.
Un’altra volta poi ti dirò il resto. (A Livietta)
non lo posso soffrir da che ho viaggiato.
                                            Don Fabrizio
«Vada lei, passi lei, lei, mio signore...»
Don Fabrizio è un buon uom ma è un seccatore.
                                        Quanto ne godo
che scoperto mi abbiate il di lui foco!
Ciò servirà per divertirci un poco.
               Siamo qui. Sedan, padroni.
                   Prima lei. (A don Fabrizio)
                                        Oh mi perdoni.
qua il signor don Fabrizio, a lei vicino.
                                                      No no, ho imparato
le tavole a dispor da che ho viaggiato.
                                              Piano un poco,
una nuova invenzion ch’è tutta mia
per mettere gli spirti in allegria...
ebbe in Londra fortuna e fu lodato. (I servitori danno a tutti da bere)
                                         E perché sia
col bicchiero alla man si ha da cantare.
poi gli altri tutti canteranno il coro.
Si è cantato e bevuto; son contento,
or divido la zuppa e la presento. (Dà la zuppa)
(Questo caro signor fa da padrone). (A Livietta)
(E il padrone di casa è un bel minchione).
Due anni or son che nel gran mondo io vivo.
Che piatto è questo? Permettete, oibò. (Assaggiandolo)
vi consiglio di andarvene a drittura.
Per dir la verità, dacché ho viaggiato
Se voglia di mangiare or non mi sento,
servitor, cameriera ancora voi. (A Giacinto e Livietta)
So quel che deggio far, risolverò. (Parte)
Con dame non convien prendersi gioco. (S’alza)
(Da incontro tal la mia fortuna io spero). (Parte)
non distingue gli scherzi dalle offese.
Andate a maritar le donne brutte. (Parte)
Capite or la ragion perché è sdegnosa?
Peggio d’una tedesca è pontigliosa.
Tutto si aggiusterà, la cura è mia.
non ce ne abbiamo a mal per niente affatto.
                                     Ed il negozio è fatto.
                                 Eh la marchesa è mia.
                                           Sì, è verissimo.
questa dama servir per questo giorno
e poi domani a donna Emilia io torno.
Signor no, non conviene, io vi rispondo.
Voi non sapete ancor cosa sia mondo.
e sarà cura mia far ch’ei si penta.
parto e voglio lasciarvi in libertà.
Se non bastan le preci, il pianto, il sangue
                                             Pietade avete?
Deh vi basti così, più non chiedete.
ite pur dal mio seno, ite lontane. (Si scosta)
               Ingrata!
                                 Perché?
                                                  Mi struggo invano.
                            La mano.
                                                Ecco... la mano.
                                        Sì, ho veduto.
Per quattro o cinque dì saran beati.
che arrivan presto al matrimonio i guai.
                                     Quella lezione
                                      Ecco la mano.
                      Sarò vostra.
                                              Or son contento.
Esser fatta la sposa è il mio contento.
Una cuffia ben fatta, un bel vestito,
de’ bei pizzetti e delle belle gonne
son le cose che piacciono alle donne.
di restar qui. Vi sto con mio dispetto,
trovo solo in viaggiando il mio diletto.
Donna Emilia, signor, molto non vi ama.
dee serbar la parola un uom d’onore.
Donna Emilia testé si è fatta sposa.
Se fosse ver, dovrei saperlo anch’io.
                                     Fu il signor conte.
Non andrà quest’ingiuria invendicata.
che il servitor di casa mi ha pigliata
e all’improvviso mi ha testé sposata. (Parte)
Tutto il mondo si sposa ed io sto senza.
Marchesa, il vendicarmi a voi si aspetta.
                                  Sì, per vendetta.
che col tempo l’amor verrà doppoi.
                                           A suo dispetto
Il resto poi discorrerem per viaggio.
Lo dico in faccia al galantuom ch’è qui,
meco parlava e mi dicea che ha fretta,
                                         Oh benedetta!
Son due anni che aspetto e tempo egli è
                                          Preme anche a me.
                                    Non vedo l’ora.
Quando vi piaccia di accordar voi stesso,
                                Facciamlo adesso.
Subito, immantinente, in sul momento.
                                               Oh che contento!
Temo ancor di passar qualche periglio.
                            E quel ch’è fatto è fatto.
                                         Parlerò io.
Donna Emilia sposato ha il fratel mio.
                                    Vedete adunque
con le spade, coi schioppi e col cannone
se di far quel che ho fatto ebbi ragione.
                                      Padre, perdono.
vi ringrazio, signor, con tutto il core.
Torno a far con la sposa il viaggiatore.

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